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La ribellione fatta in casa


Antonio D'Andrea di Capracotta
Il sempreverde Antonio D'Andrea.

Da oltre trent'anni per diletto e per curiosità mi occupo di rimedi naturali e in particolare di erboristeria, soprattutto perché mi piace poter andare a raccogliere le erbe, le bacche e i frutti, e questo andare tra i boschi è già medicina di per sé. In queste ricerche ho scoperto che tra tutte le erbe, quella che preferisco e nello stesso tempo ho trovato in abbondanza è l'ortica. La pianta cresce in modo spontaneo e ha un uso ottimale sia in alimentazione, perché ricchissima di sali minerali, sia come prevenzione e rafforzamento del sistema immunitario. Inoltre depura l'organismo, e quindi ha anche proprietà curative. Da piccolo, come tanti, avevo paura delle sue punture e mi tenevo alla larga dai suoi cespugli. Incominciai a guardare con altri occhi l'ortica quando, alcuni anni fa conobbi a Roma, in un centro di alimentazione naturale, un amico di colore proveniente dal Suriname che si chiamava Arturo. Pur avendo vent'anni più di me sembrava più giovane. Mi raccontò che fu colpito da un tumore inguaribile al fegato tanto che i medici non gli avevano dato più speranza. Arturo non si perse d'animo e si curò con rimedi naturali bevendo tutti giorni infusi di malva e di ortica. Beveva tre tazzine al giorno facendo bollire per dieci minuti una parte di ortica e una parte di fiori secchi di malva. Alla fine guarì dalla sua malattia, tra l'incredulità di quei medici! Da allora, piano, piano è cresciuto il mio interesse per questa pianta al punto da prendere in considerazione l'apertura di un'orticheria. Così nacque nel 2004, grazie anche ai suggerimenti di qualche operatore, l'idea di organizzare Orticaria, la prima festa dell'ortica.

Una settimana completamente dedicata alla preziosissima pianta che, insieme alla riconoscimento delle erbe spontanee, delle bacche e dei fiori (su questi temi suggeriamo la lettura di "Erbe, arbusti e fiori migranti" di Gilles Clément, architetto paesaggista ma anche agronomo e giardiniere, autore di "Elogio delle vagabonde"), sarà uno dei filoni principali di tutte le attività di "Vivere con cura" promosso a Capracotta (Isernia). L'altra pianta importante a cui "Vivere con cura" sta dedicando non poche energie è la rosa canina che tra le rose è la più semplice e umile. Quindi, Orticaria e Rosaria rappresentano a buon diritto i due fiori all'occhiello per le nostre attività. Durante la settimana, tempo permettendo, la mattina si va a raccogliere le piante e nel pomeriggio si prosegue con le attività di laboratorio. Durante Orticaria, la maggior parte dell'ortica, dopo averla raccolta in fasce di massimo dieci-quindici steli e averli legati con un laccio, si appende in un luogo asciutto e riparato. Dopo pochi giorni, dall'ortica, ormai secca, si separano i fusti dalle foglie e quest'ultima, una volta sbriciolata, si conserva in appositi contenitori, anche per lunghi periodi. Mentre dall'ortica fresca, si possono fare tante cose, come il succo e innumerevoli sono gli impieghi in cucina: dal pesto alla purea, dalle minestre alle polpette, ecc...

In passato facevo fare i saponi all'ortica, poi ho voluto sperimentare il vino orticato e l'aceto. Quest'anno c'è stata la grande novità della birra all'ortica e da pochi mesi, l'amico Giuseppe Montalto, mi ha confezionato un altro prodotto cosmetico, lo shampoo all'ortica che, a quanto pare, è particolarmente adatto contro la caduta dei capelli. Ah! A saperlo prima! Una delle sorprese più piacevoli della settimana dedicata all'ortica è l'arrivo di Anna Montaruli, spesso accompagnata dalla sua amica Carmela. Le due operose donne sono di Ruvo di Puglia, una cittadina a nord di Bari, e tutte le volte che vengono a Capracotta non vogliono mai farci mancare le delizie della loro terra: vino, olio, salsa di pomodori, taralli, olive, ecc...: una festa. Ma il vero spettacolo è rappresentato dalle orecchiette che Anna e Carmela con precisione, quasi chirurgica, realizzano con abilità e maestria. Il piatto di mezzogiorno con le orecchiette e le erbe spontanee raccolte al momento è una delizia il palato e rinnova l'antica amicizia e collaborazione che la transumanza ha reso possibile e facilitato per tanti secoli tra i montanari molisani e abruzzesi e le popolazioni dell'agro pugliese.

In tante edizioni di Orticaria (l'ultima si è svolta in maggio) hanno partecipato diversi studiosi, erboristi, nutrizionisti e semplici cittadini che hanno raccontato la loro esperienza sulle straordinarie proprietà di questa pianta e che un pregiudizio, becero e ignorante, ha relegato tra le erbacce. Tuttavia, la scarsa considerazione che ha goduto non le ha impedito alla pianta di sfamare, vestire e curare generazioni di uomini e di donne che si sono avvalsi delle proprietà di questa generosissima e preziosa pianta per vivere.

Non meno importante è la rosa canina. La preziosa pianta cresce copiosa sui brulli e incolti terreni di montagna e non c'è luogo intorno Capracotta in cui non ci sia la sua silente presenza, appena accennata dal colore vermiglio delle sue bacche. Non c'è parte di questa pianta che non si possa utilizzare: dalle radici alle bacche, dalle foglie ai fiori. Gli usi alimentari sono molteplici, come la squisita marmellata o come condimento o per fare un elisir dal profumo delicato. I preparati di rosa canina sono una vera e propria riserva di vitamina C, molto più degli agrumi. È una delle più importanti riserve che la natura ci mette a disposizione e non è un caso che si offre generosa proprio all'inizio della stagione invernale, quando una buona scorta di vitamina C, serve ad immunizzarci da alcune malattie. Importanti sono anche gli usi che ha nella cosmetica e nell'omeopatia. Certo, la sua raccolta non è priva di insidie per via delle sue spine piuttosto aguzze. E proprio a proposito delle spine, alcuni anni fa, ho avuto la fortuna di ascoltare una storia dall'amico Nicola che in gioventù esercitava il mestiere di pastore. Una volta aveva notato che quando le capre si avvicinavano ai cespugli della pianta, avide delle sue succulente bacche, una di esse, forse la più anziana o la più robusta, entrava nel mezzo della spinosissima pianta, non senza ferirsi, per abbassare i rami. Così facendo, permetteva alle altre di mangiare con più agio. In sostanza, parve all'attento amico che una del gregge preferiva sacrificarsi per il bene di tutte le altre. Sarà vero? Mi limito a segnalarvi l'episodio, non senza confidarvi il mio stupore. Un'altra storia sulla pianta, che sempre Nicola mi raccontò, è ancora in relazione agli animali. Quando una mucca o un cavallo o un altro animale aveva un ascesso si ricorreva ad una spina, di solito quella che stava sulla parte più estrema del ramo, per inciderlo ed evitare che si formasse l'infezione. Le spine di rosa canina sono affilate come un rasoio e all'occorrenza sostituivano l'azione dei bisturi. Era un espediente che si rendeva necessario perché non sempre i veterinari erano disponibili in tempo utile. Ritornando alla marmellata di rosa canina che si produce a Capracotta con una piccola macchinetta proviene dagli Stati Uniti, amo mangiarla a crudo e senza zucchero, in modo tale che non si perda nulla dei suoi principi attivi e spalmarla in faccia come una maschera di bellezza. Quando poi vado a sciacquarmi il viso, un piacevole senso di benessere mi coglie e mi ripaga di tanta fatica.


Antonio D'Andrea

 

Fonte: M. Meomartino, Rivoluzione domestica. L'arte di vivere con cura, Tracce, Pescara 2013.

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