Una grave e complicata quistione sulla necessità di modificare le leggi sul dazio di consumo si va oramai agitando presso il Governo e presso i Comuni, ma la soluzione riuscirà sempre abbastanza difficile, perché le diverse opinioni più che dipendere da un giusto ed imparziale sentimento di equità derivano da veri e personali interessi.
Il Comune di Capracotta, che tiene applicate nella massima misura tutte le tasse ed i dazi aventi materia d'imposizione, focatico, tassa bestiame e di posteggio, addizionali al dazio governativo e dazio proprio su paste, riso, olio, pesci, frutta ecc., preoccupato delle continue variazioni nei bilanci, e sopratutto delle difficoltà per l'esatta applicazione e per la regolare riscossione, dopo accurato studio venne alla conclusione dimostrativa che dichiarando il Comune chiuso per i soli effetti del vino, non solo avrebbe ricavato un provento che poteva permettergli l'abolizione di tutti i dazi e di quasi tutte le tasse, ma di ridurre la tariffa sul vino a sole £ 5 l'Ettolitro, ed anche di meno aumentando il consumo.
Questo provvedimento che con vera abnegazione venne proposto dai produttori di vino ed approvato dal Consiglio, trovò l'unanime favore del paese, il quale pur di non essere vessato in tanti modi, e spesse volte con erronei criteri, accettava il principio dell'uguaglianza, riconoscendo savia e giusta una riforma, che, allontanandosi da fantastiche ed odiose considerazioni di accertamento, massime pel focatico, colpiva, senza eccezioni, il consumo reale in qualunque modo venisse fatto.
A questa domanda il Governo restò maravigliato. Possibile? Un Comune vuole essere dichiarato chiuso? E cominciarono le solite pastoie burocratiche, innanzi alle quali l'Amministrazione non si arrestò punto, ma a furia di chiarimenti e di opportune considerazioni giunse a persuadere il Governo, che dopo un'ultima formalità si è riserbato di omologare la pratica.
Ora se un Comune, i cui abitanti oltre i dazi sono gravati dalla media onerosa di £ 3,47 di tassa ognuno, si avvantaggerà tanto da un dazio uniforme sul solo vino, quali maggiori benefizi non potranno ripromettersi quelle amministrazioni che si trovano in condizioni migliori?
La rigorosa ingerenza del Governo in fatto di dazio è nociva ai Comuni, perché ne paralizza ogni opportuna iniziativa, è ingiusta come la distinzione fra Comuni aperti e chiusi; è vessatoria come la disposizione nei Comuni aperti di esentare da dazio coloro che possono disporre di mezzi per compare 25 litri di vino, per gravare invece la mano sull'indigente che deve giornalmente regolare il consumo secondo il guadagno. Donde il fatto innegabile e riprovevole che le entrate comunali per dazi nei comuni aperti sono prodotte dal solo povero col minimo concorso dell'agiato!
La Camera dei Deputati su relazione dotta e ragionata dell'on. Berio nella seduta del 3 Febbraio 1881 prese in considerazione un progetto di legge, che mirava appunto all'abolizione dei Comuni aperti della distinzione fra minuta vendita e vendita all'ingrosso. Ma poi, come sempre accade per le riforme buone, non se n'è fatto più nulla, e si è continuato a gridare contro la sperequazione di questo sistema tributario, senza mai affrontare obbiettivamente la quistione.
E poi dire che non sono i personali interessi degli alti papaveri quelli che s'impongono!...
Il Governo, secondo me, farebbe atto di vera giustizia se, consolidato il proprio canone daziario, desse vigore al dimenticato progetto di legge dell'on. Berio, ed accordasse ai Comuni la necessaria autonomia per applicare e riscuotere i dazi secondo i loro bisogni e le loro speciali condizioni, sicuro che i Comuni stessi sapranno giovarsi dei proventi del dazio per abolire o ridurre nei loro bilanci le tasse, e per abolire non solo i dazi sulle paste, farine ecc. ma su altri fastidiosi balzelli, che richiedono delle inutili spese di riscossione a danno dell'economia comunale.
Capracotta, 5 aprile 1901.
Costantino Castiglione
Fonte: C. Castiglione, Riforme daziarie, in «L'Alba», I:13, Isernia, 7 aprile 1901.