top of page

Ristabilire la verità


Monteforte Capracotta
Un gregge di pecore al pascolo a Monteforte.

Nel 1960 mio padre Luciano Di Tanna si occupava del gregge della famiglia di Dante Paglione. Nel pomeriggio all'incirca del 20 di ottobre mio padre si trovava in zona al di là della Fonte del Mulo con tutto il gregge di oltre duecento capi.

Improvvisamente si scatenò un temporale molto violento e incessante che durò per oltre cinque ore.

Nessuno sa, all'infuori degli addetti ai lavori, che il temporale blocca, paralizza il gregge talmente tanto che nemmeno le cannonate lo smuovono. Mio padre rimase immobile tutto il tempo come paralizzato e impotente, aspettando che la pioggia attenuasse la sua densità. Ciò avvenne a tarda serata. Il buio, il terreno fangoso e tutta la pioggia raccolta tra una valle e l'altra avevano creato una barriera che, da canalone, si era trasformato in un fiume in piena invalicabile, peggiorando la situazione e complicando il suo ritorno a casa. La decisione più saggia era risalire verso la strada asfaltata, verso la casa cantoniera di S. Pietro Avellana, sotto Monte Capraro. C'era tanta strada da fare ma era l'unica soluzione possibile per tornare a casa e comportò circa tre ore di cammino.

A Capracotta, alle 8 di sera, scattò l'allarme: suonarono le campane intensamente e la notizia si dilagò alla velocità della luce. Tutti ripetevano che si era perso Luciano con tutto il gregge e per questo erano molto preoccupati anche i proprietari dello stesso.

A casa mia erano tutti angosciati: mia madre piangeva e la casa era diventata un viavai di parenti, vicini di casa e compaesani; ognuno veniva a porgere la propria solidarietà.

A quell'epoca avevo 17 anni e mio fratello 19. Ci incamminammo verso Sotto la Terra per un tentativo di ricerca ma invano. Tornammo a casa bagnati e inermi.

Intanto si era creato un gruppo di volontari e di più capaci che avevano capito come la situazione si fosse potuta evolvere e si diressero verso la Montagna, tra Sotto il Monte e la casa cantoniera di S. Pietro Avellana.

Intanto mio padre, tra mille difficoltà, spinse il gregge verso la salvezza senza mai pensare di abbandonarlo, anche perché egli era "padroncino" di 50 capi, una ragione in più per la salvaguardia del gregge ma, a dire il vero, l'avrebbe fatto comunque. Dopo una fatica immane, tenace e caparbio com'era, la salvezza arrivò con la strada asfaltata e l'incontro con i volontari, che avvenne a mezzanotte.

In tutto quell'inferno dantesco per mio padre, i familiari e tutti coloro che si sono impegnati al caso - che vorrei ringraziare - successe che uno dei volontari si slogò un piede e chiese un risarcimento a mio padre che ne rimase interdetto.

Con gli anni a seguire molte volte mi à capitato con dei paesani che, chiedendomi a chi fossi figlio, ribattevano:

– A Luciano, colui che si perse.

È qualcosa che non ho mai accettato, che mi dava molto fastidio, perché tutto quello che era successo a papà era vero ma non si era mai perso.

Un ricordo di mio padre: una persona molto umile, semplice e ingenua con un grande rispetto per gli animali. Non l'ho mai visto bastonare le pecore e nel periodo di soggiorno a Rosello, dove l'ho aiutato per un periodo di due anni, tutte le pecore di papà avevano un nome. Ricordo che una si chiamava Paposcia e quando la chiamava si avvicinava come un cagnolino. L'amore ed il rispetto per gli animali l'ho ereditato anch'io e ne sono fiero.


Pietro Di Tanna

 

Fonte: P. Di Tanna, Ristabilire la verità, in AA.VV., I racconti di Capracotta, vol. V, Proforma, Isernia 2014.

bottom of page