È triste, doloroso, ammettere il fallimento. Quella sera, la testa sotto il cuscino del divano, Chiappone rifletteva sul bilancio in rosso della sua vita. "Sono un buono a nulla, altro che amministratore", disse al cuscino, senza trattenere un orribile singulto. Per la vergogna, la rabbia, la delusione, si era ingozzato di tonno e cipolle.
A stomaco liberato, tornò a riflettere sul da fare. Lanciarsi dalla finestra o simili azioni neanche a parlarne, visto come era andata la volta delle piattole. Piuttosto c'era da prendere una decisione, a costo del licenziamento. "Chiamo Tinazzi e mi dimetto", decise, dopo un tormento di rutti e sensi di colpa. Prima che afferrasse la cornetta squillò il telefono.
– Sergio carissimo, sono Tinazzi. Buonanotte, pensò Chiappone, avrà saputo del corso. – Sei tu, Marco? Stavo per chiamare e dirti tutto. – Ho telefono apposta –, lo interruppe Tinazzi. E mi chiami ancora carissimo? – Una potenza, Sergio, sei stato una vera potenza. Ho parlato con Baro e Caramella. Sono entusiasti. Pensa, dopo essersi complimentati, mi hanno chiesto dove avessi trovato un talento come il tuo. – Allo zoo, gabbia dei babbuini –, rispose amaro Chiappone. Avvertiva ancora dolore, dopo quella rozza perquisizione. – Dai, Sergio, non fare il cretino. Caramella mi ha raccontato tutto. Si è trattato di una messinscena, è la prova di iniziazione che fanno ai nuovi. – Anche il dito in culo? Si sentiva preso in giro, anzi, a essere precisi, per l'oggetto della perquisizione. Lui era soltanto un professore, cosa poteva saperne di quelle nuove tecniche, di diavolerie da colloquio di assunzione. – Il dito? Certo, anche il dito fa parte della procedura. – La voce dell'amico era dolce e suadente, come fa una madre col suo piccolo. – Devi capirli, Sergio. Data l'importanza della carica, vogliono essere sicuri, devono verificare che il nuovo entrato sia una persona per bene. Perciò l'accusano ingiustamente di aver rubato, per verificare come reagisce. Test di ingresso, esame delle reazioni. E se fosse uno scherzo della fantasia? e se dall'altro capo del filo non ci fosse nessun Tinazzi ma solo la proiezione dei suoi desideri? Chiappone indugiò a riflettere. Era già successo ad alcuni colleghi. Devastati dalle frustrazioni di quel lavoro, ansiosi di una pur minima gratificazione, si erano inventati chi l'annuncio dell'arcangelo Gabriele, chi la consegna delle tavole della legge e chi la telefonata del re di Svezia, con tanto di assegnazione del Nobel per l'erboristeria. – Cosa posso fare per convincerti? –, supplicò allora Tinazzi, dopo che Chiappone gli ebbe confidato queste sue paure. Dall'altro capo un sospiro sofferto, attimi infernali. Che fare? Dimmi, luna, dimmi che fare! Credere per davvero di non essere affetto da allucinazioni e, di conseguenza, risorgere a nuova vita? Oppure... oppure dare con la testa contro il muro!? E dormire, sììì, dormire! Beninteso, dopo ricovero in apposita struttura convenzionata e previa attestazione "che il paziente è affetto da prostatite acuta di sospetta origine alimentare". Basta! Chiappone decise di andare incontro alla sua sorte. – Chiudi, Marco. Ti richiamo per un controllo. Mentre componeva il numero accarezzò forte il casco. C'è bisogno di affetto prima dell'abbraccio col fato. – Fesso, mi credi adesso? –, rispose Tinazzi dopo due squilli. E Chiappone pianse calde lacrime di affetto. Nel congedarsi fece in tempo a dire:
– Prima che mi dimentichi, Marco... quella somma. Sai, non penso ad altro, ci passo intere notti, non riesco a dormire. – Eeeh, quanta fretta. Appena una settimana di lavoro e già chiedi lo stipendio?
Dopo il terribile spavento decise di rimuovere l'esperienza del corso. Certo, permaneva il ricordo di quell'indice nodoso, ma vuoi mettere il fastidio alla prostata col paradiso del doppio lavoro? Una dimensione nuova, tutta da assaporare, incrinata appena dal mistero della facciata del condominio Tinazzi. Malgrado ne studiasse i particolari non vi scopriva niente di anormale. Intonaci e cornicioni degni di un Palazzo Ducale, pittura nuova di zecca, tetto da paese dei campanelli. "Che bel palazzo", concluse in estasi, dopo un lungo appostamento. "Vattene, maiale, o chiamo la polizia!", gridarono dall'alto. Era stato scambiato per un lurido guardone. Fatta eccezione per il deprecabile insulto, riferì tutto all'amico, disse che, a suo giudizio, non c'era bisogno di alcun intervento. Tinazzi s'incavolò di brutto, fece anche la ramanzina.
– Hai già dimenticato gli insegnamenti di Caramella? –, e poi: – Sei andato dalla signora Capracotta? Non c'era andato no, dopo l'incidente del trinciapollo. O la screanzata porgeva le sue scuse o non avrebbe mai messo piede in quella casa. Tinazzi fu irremovibile, giunse a minacciare la revoca dell'incarico. Chiappone fu perciò costretto a chinare il casco. Per forzare le resistenze della signora decise di servirsi dall'allievo Ugatti, esperto in scasso di serrature, teche di faraoni e organi vari. Il giovane era anche un fior di ragazzo e, attraverso lo spioncino, impose le sue doti di rubacuori. La Capracotta si lasciò subito concupire. Prima disse "un attimo solo e apro", poi corse in camera per agghindarsi come una pornodiva in pensione e infine spalancò porte e quant'altro. Alla sua vista l'allievo Ugatti, cui dai sette ai novantacinque andavano bene tutte, senza nemmeno dire buonasera, si avventò sulla signora e prese a succhiare dappertutto. Figuriamoci quella. Ricambiò prontamente, lì, su due piedi, in sala di ingresso, sollazzando il giovanotto con una magistrale lezione di arte della fellatio. Sebbene spettatore di stupro a una settantenne, Chiappone pensò bene di non intervenire. Lasciati i due amanti, ora impegnati in un amplesso in stazione eretta, varcò il fatidico balcone e prese a ispezionare con la lente. Due ore durò la caccia alle mosche, due ore di inferno, tra gemiti e cigolii provenienti da dentro, cui si aggiunsero gli schiamazzi di una pornotroupe accorsa a filmare l'evento. Malgrado il clima di eccitazione riuscì a individuare il guasto, una lieve fessura tra i marmi di un frontalino. Visto che c'era associazione, chiese alla troupe di riprendere la crepa, cosa che fu interpretata come una variante naif alle scene in ingresso. Nell'andar via provò a chiamare Ugatti, ma non ci fu niente da fare. Era strafatto di cocaina, coinvolto in un gioco a tre con la governante della Capracotta e pare avesse lucrato succosi diritti.
Durante la proiezione espresse di nuovo i suoi dubbi all'amico. "Sei proprio sicuro che si debba intervenire?". D'accordo che i soldi vengono prima di tutto, va bene per l'avanzamento nella scala sociale, ma certe correlazioni iniziava a farle anche lui. – Sicuro??? –, sobbalzò Tinazzi. – Ma l'hai vista quella fessura? Hai pensato ai danni a terzi che può arrecare? – No. – Te lo spiego io, ignorante. La disamina di un ingegnere va rispettata, specie se tu sei un modesto professore. Per farla corta, il Tinazzi partì dai monsoni australi, adombrò con accortezza lo spettro dello scioglimento dei ghiacci, per approdare alla faglia di San Ciro, al catastrofico terremoto di Milano Marittima e all'eruzione del monte Argentario. "Ammazza!", fece Chiappone, "quanto sono ignorante" e convenne che il balcone avrebbe costituito una seria minaccia in caso di ripetizione simultanea di quegli eventi. L'ammissione di ignoranza gli fece venire in mente qualcosa d'altro. – A proposito, Marco, vorrei sempre parlarti di quella sommetta. – Uffa, come sei assillante! Credo di essermi già espresso con chiarezza: regoliamo tutto a fine mese. – Dopo l'assemblea di condominio? –, azzardò Chiappone, visibilmente perplesso. Aveva perso dei chili, a furia di passare le sue notti sulle carte. Intanto si guardava intorno. A parte due panche, un lenzuolo alla parete e il proiettore, il salotto di Tinazzi non esisteva. Mancavano i pavimenti, i muri erano grezzi, gli infissi divelti. Perfino il bagno, che un tempo aveva ospitato una piscina tropicale, era ridotto a una caverna. Un gran buco al centro lasciava intendere dove l'amico sfogasse le sue incombenze. Chiese il motivo dello sconquasso.
– Niente –, minimizzò Tinazzi. – M'era venuto a noia. Ho deciso di rifarlo diverso. "Che gran signore il Marco", pensò Chiappone."“E che amico. Mi aiuta anche a spedire le lettere di convocazione di assemblea". Questa si tenne direttamente a casa Tinazzi. Erano presenti Chiappone, l'amico, i carabinieri e due corazzieri. Nessuno dei condomini aveva risposto all'appello. – Che facciamo? –, domandò perplesso l'amministratore.
– Niente, procediamo lo stesso, ho due deleghe. All'unanimità Chiappone fu nominato presidente dell'assemblea.
– Fai le somme –, ingiunse Tinazzi porgendogli le deleghe. Dopo un turbine di calcoli, durante il quale perse venti chili, finalmente lesse il risultato: Condomini presenti: l'ingegner Marco Tinazzi. Per millesimi 50. Presenti per delega: Il dottor Mele e il cavalier Costacurta. Per un totale di millesimi 450,1. Assenti: gli altri ventotto. – Ma il Mele e il Costacurta non sono quei due poveretti del quinto piano, l'uno non vedente e l'altro schizofrenico grave? –, insinuò Chiappone. – Zitto! –, lo fulminò Tinazzi. – Perché, cosa ho detto? – Si parla tanto di legge sulla privacy e tu vai a spifferare in pubblico i guai della gente? Vuoi che finiamo tutti in galera? Chiappone si grattò candidamente la cocuzza.
– Ah già, la legge, hai ragione”. – Cari condomini –, ruppe gli indugi Tianzzi, – visto che è presente il cinquanta per cento più uno dei proprietari, l'assemblea è validamente costituita. A quelle parole Militi e Corazzieri scattarono sul saluto militare. Da fuori giunsero le note dell'Inno di Mameli. "Che gran signori, che classe", restò ammirato l'amministratore. "Altro che buffonate della scuola!". – Presidente! –, invocò Tinazzi. Subito i corazzieri si affiancarono a Chiappone che scattò sull'attenti e gridò:
– Agli ordini! – Comodo, comodo –, largheggiò l'amico. – Vogliamo dare lettura del verbale della seduta precedente? – E dove stiamo, a scuola? – Poiché era stato centrato da un'occhiataccia, aprì il librone e si inventò di suo: – In virtù dei poteri a me conferiti... – Ma che dici? Cosa farnetichi, cretino! –, fu costretto a intervenire Tinazzi, che poi aggiunse: – Chiedo la parola. – Prego, che le tue parole sien conte –, fece Chiappone, che era un fanatico della Divina Commedia. "Sì, i conti. Li facciamo dopo. Una volta per tutte".
– Signori –, attaccò Tinazzi, rivolto ai corazzieri, – non vi annoierò con i discorsi che hanno infiammato le precedenti riunioni. Tutti ormai siete convinti che non si debba più frapporre tempo al tempo. Il condominio, la nostra casa comune, è a un passo dal disastro. No, no, vi prego, non c'è bisogno che aggiungiate altro. Già sento il vostro grido di dolore, già scorgo l'ansia, la paura, negli sguardi smarriti dei vostri figlioletti. Qualcuno di voi è venuto perfino a bussare alla mia porta, a chiedere di intervenire, di fare presto, prima che il tetto ci crolli addosso. Per tale motivo non indugerò sul terremoto di Milano Marittima o sulla faglia di San Ciro. Vi mostro subito i preventivi delle tre ditte prescelte dal nostro amministratore. Prego, ragioniere, legga pure. – Due cose, prima di cominciare –, fece Chiappone, schiarendosi la gola. – Questo non è previsto. Tu devi leggere e basta. – Primo, io sono un professore. – Sì, sì, andiamo avanti. – Inoltre, la Caramella Lavori società di fatto, la Carpenterie Edili società individuale e la Caramella Holding Costruzioni, io non le conosco affatto. No, tanto per l'esattezza. Tinazzi levò gli occhi al cielo, sbuffò platealmente, fece un cenno ai carabinieri. I due, estratte le manette, presero ad agitarle con noncuranza. Cosa che lasciò Chiappone un po interdetto, anche perché, a pensarci bene, uno di quei due era Cartonazzo Michele, noto allibratore al cinodromo comunale, e meglio conosciuto come Michele Tressette, tale essendo la quota che offriva, a prescindere dal cane. "Anche lui arrotonderà col doppio lavoro", sospirò tra sé Chiappone, prima di leggere i preventivi. Questi, come ogni gara che si rispetti, risultavano di ardua interpretazione. Chiappone li compulsò scorrendo a turno ora l'uno ora l'altro:
– Due milioni e ottocento, questo è il primo. Poooi... – sudava come un animale tra quelle cifre – un momento che ora leggo eh – e inforcò due cannocchiali per decifrare il carattere minuscolo – duuue, due milioni e ottocentouno, giusto! – qui venne il turno di una rassicurante lisciatina al casco –, e ora il terzo... ma dov'è il terzo? – Ce l'hai davanti, stupido! –, uno dei corazzieri. – Uuuh, che scemo, non avevo visto. Il terzo preventivo è: due milioni ottocento virgola cinque... – Tutto per mille, naturalmente –, intervenne paonazzo l'amico. Era anche lui madido di sudore. Fremeva, si agitava sulla sedia, incrociava in continuazione lo sguardo di Tressette. – Mille? –, fece Chiappone, candidamente. – Dai, Marco, vabbene che sono agli inizi, ma mettersi a sottilizzare per mille lire! – Maledetto, io ti strozzo! – Marco, che ti è preso? non ti avevo mai visto così agitato –, cadde dalle nuvole l'amministratore. L'altro capì l'errore e si armò di pazienza. – Procediamo con calma. Ti pare mai possibile che un intervento così radicale costi soltanto due milioni? – No eh? – No di certo! Quindi... – Quindi? –, incalzò Tressette. – Quindi... Come il sole di oriente, che a poco a poco semina i suoi raggi, e lividi bagliori spande nel buio, timidi dapprima, poi ardimentosi, similmente accadde nell'aere di Chiappone. Mise insieme Baro, Caramella e la fessura, rivisse l'esperienza del dito in culo e finalmente approdò all'aurora del risveglio.
– State dicendo che quei preventivi vanno moltiplicati per mille, che quindi valgono miliardi. Capito bene? – E c'era bisogno di fare mezzanotte per arrivarci? –, disse un corazziere al Tinazzi. – A proposito, Marco –, aggiunse levandosi il cimiero, – ci pensi tu a includere casa tua... nel tutto? – Già fatto –, annuì Tinazzi, accennando alla lista dei millesimi. Alzatosi in piedi, proclamò solennemente: – Propongo che si passi senza indugi alla votazione. – Votano anche loro? –, chiese a quel punto Chiappone, indicando Tressette, il compare e i due colossi. – Vuoi sfottere? – Per carità, ci tengo allo stipendio. Lo chiedevo perché temo non ci sia la maggioranza qualificata. – Ma se abbiamo 500,1 millesimi!? – Duecentocinquanta virgola zero cinque, prego –, corresse Chiappone. Un ghigno amaro, frutto di mille disincanti, gli storse le labbra. – Ho provato a fare la somma dei millesimi condominiali –, spiegò all'amico. Che rispose con un basso insulto: – Perché, ne sei anche capace? – Hai ragione, pensavo di non esserlo, visto che mi usciva sempre duemila. E dire che ce la mettevo tutta. Notti intere, ore e ore di lezione passate a bisticciare con quei millesimi. Sai, Marco, è lì che ho temuto di impazzire... Tinazzi lo ascoltava con le mascelle contratte. Era impallidito e palpava con insistenza la giacca. Un istante prima Tressette gli aveva allungato qualcosa che prontamente aveva infilato in tasca. – Che bestia, mi dicevo –, stava proseguendo Chiappone, – nemmeno una semplice addizione so fare. Eppure lo sanno tutti che quella somma è uguale a mille. Ieri, tornando da casa tua – a proposito, a quando la festa di inaugurazione? – mi sono fatto coraggio e ho consultato il regolamento condominiale. E finalmente ho capito. – Fermi! –, fece a quel punto Tinazzi, a corazzieri, Tressette e secondo carabiniere. Erano scattati in piedi, chi con la molletta, chi con manette e chi con elmo impugnato a mo' di clava. – Dimmi un po', cosa avresti capito? Chiappone a sua volta brandì il casco, lo strinse sotto l'ascella come un pallone di football americano. – Semplice, che il fesso non ero io ma gli altri ventotto poveracci. Qualcuno aveva cancellato i millesimi veri col bianchetto, sostituendoli con altri moltiplicati per due. Ecco perché la somma fa sempre duemila. Ed ecco perché alle assemblee c'è sempre il numero legale. Chi vuoi si prenda la briga di controllare, e chi vuoi si accorga che sulle lettere di convocazione la sua quota è moltiplicata per due. Con questo accorgimento un totale di presenti per 500,1 millesimi fa maggioranza. Peccato nessuno sappia che è su base duemila. – Ehi Perry Mason! hai mai pensato a metterti in affari? – Senza il cimiero anche quest'altro corazziere era riconoscibile. Si trattava del galoppino di Tressette, un marcantonio che il principale spediva dagli scommettitori insolventi. Chiappone non gli diede retta, continuava a fissare Tinazzi. – E pensare che ho cercato anche di avvisarti. Non so quante volte ti ho parlato di quella somma che non tornava. Ma, come ogni furbo, non hai mai sospettato che fossi sul punto di scoprire tutto. Voialtri, gente di affari, siete convinti che il mondo si divida in svegli e fessi... – Tu sei matto –, esclamò con forza Tinazzi. Continuava ad asciugarsi le mani sul vestito, trattenendo a stento l'agitazione. – Tu vaneggi, Sergio, hai bisogno di cure. – Me lo dicevi anche a scuola, Marco. Quando sedevamo allo stesso banco e consumavo tre stilografiche al giorno. Bastava che mi voltasi e spariva la penna. Se ti incolpavo del furto scoppiavi a ridere, ricordo ancora quel sorriso beffardo, quei tuoi occhi irridenti. Arrivasti perfino a dire che soffrivo di allucinazioni. – Ne ho la conferma, adesso. – Come era paranoia l'accusa di aver spalmato il burro del mio panino al salame sulla sedia del professor Anfosso. Cercai di spiegarlo al preside ma figurati lui, mettersi contro la famiglia Tinazzi: mi accusò di incolpare un innocente. Ebbi cinque mesi di sospensione, perché quel poveretto, scivolando dalla sedia, si era fracassato il culo. – Il burro apparteneva al tuo panino, ci furono i riscontri della Scientifica... – Che però si rifiutò di ascoltare la testimonianza di Fattori. Te lo ricordi Fattori? quel compagno un po' sordo, a cui avevamo appioppato il soprannome di Sordello? Ti aveva sorpreso durante l'intervallo, mentre spalmavi il burro. Purtroppo nessuno volle prestargli fede. Dissero che era menomato... La pistola di piccolo calibro brillò alla luce delle fotoelettriche. A Tinazzi tremava il polso, non era adatto per quel tipo di lavoro. Chiappone, che la conosceva bene la morte, fosse biologica o civile, non si smosse. – ...come se un sordo non ci vedesse –, concluse con amarezza. Per scoppiare a ridere di un riso altrettanto amaro, interminabile, come la vita di uno statale. Poi smise di colpo, si fece serio, c'era da sistemare l'ultima tessera: – Visto che devo morire, desidero rammentarti uno degli insegnamenti di Caramella. In casi del genere, nel ripartire le spese di lavori comuni, bisogna dividere per mille la quota del condomino più importante. Tanto, chi vuoi che vada a controllare se ha pagato cento milioni oppure centomila lire? – Fuori! sparisci –, gli fece segno Tinazzi con la pistola. Durante la requisitoria di Bertoglio aveva avuto modo di riflettere. Non c'era uno straccio di prova che confortasse quelle accuse bislacche. Certo, rimaneva il bianchetto, ma si fa presto a tirarlo via col diluente. Poiché Chiappone era rimasto fermo al suo posto, fu costretto a ripetersi. – Vattene, sei libero, mi hai sentito? – A cosa devo? – È da stupidi sporcarsi le mani per un coglione.
– Le tue sono già sporche di burro –, rispose secco Chiappone, prima di infilare il casco e affogarvi i pensieri.
Carlo Capone
Fonte: C. Capone, School River, Lulu, Raleigh 2010.