Era appena cominciata l'estate del '70 e il piccolo Michele aveva i capelli ormai troppo lunghi per la stagione calda; fu così che la mamma decise di portarlo dal barbiere per una bella accorciata. In paese il parrucchiere maschile più a buon mercato era a quel tempo Gabriele Di Tella, z' Brièle re Barbiére per l'appunto. In realtà Gabriele non era un barbiere di professione ma praticava quell'arte nei pomeriggi liberi, e non tanto per soldi lo faceva, quanto per la zùlla: era infatti un vero e proprio compagnone, nel senso che il suo "salone" - il soggiorno di casa - era un viavai di personaggi e caricature capracottesi.
Coi bambini non si andava tanto per il sottile e, in quattro e quattr'otto, z' Brièle tagliò i capelli a Michele. Vincenza, sua madre, non aveva portato lì il figlio per un taglio alla moda, per una rasatura di tendenza o, che so, per fare delle mèches. Al bambino serviva giusto una rinfrescata e il barbiere quello fece: tagliare alla meno peggio i capelli di Michele. Costo del servizio: 500 lire.
Ma quando Michele, levatosi il mantellino da barbiere, scese dallo sgabello e si voltò verso la madre, questa ebbe un sussulto. Sulla fronte del ragazzino, infatti, il taglio dei capelli appariva completamente irregolare, sfumato malissimo, quel che si definisce - e non solo a Capracotta - una "scaletta". Ovviamente Vincenza rimproverò subito Gabriele:
– Briè, i sié fatta la scalétta!
La risposta del barbiere buontempone fu tanto lapidaria quanto memorabile:
– E pe' cinguciénte lire vulìve pure l'ascensóre?
Francesco Mendozzi