– Era lì in quella stessa posizione già fin da quando sono arrivato qui io nel lontano... nnntasette... Ero un giovincello allora..., provenivo dal Matese, dalle parti di Capracotta. A quei tempi ero un giovane maestro in cerca di lavoro..., la moglie era incinta e possedevamo solo una valigia piena di stracci. Ora sono vecchio. L'eternità è alle porte. In questo paese sono cambiati sindaci e amministrazioni, ma quel quadretto l'ho sempre visto in quella posizione.
La cerimonia ufficiale era terminata. Tutta la folla era sciamata al di fuori del municipio e la sala consigliare, a parte loro due, era rimasta completamente vuota.
A un cenno del sindaco, dopo avere devotamente estratto il quadretto dal cassetto della scrivania in cui era stato provvisoriamente riparato, l'uscere, con viva apprensione, lo aveva consegnato nelle mani del suo superiore che ne aveva fatta esplicita richiesta.
– Ha resistito a tutto; alla prima e alla seconda guerra – si lasciò sfuggire il vecchio contenendo a mala pena un certo disappunto non disgiunto da una certa indignata commozione. – Nessuno mai ha avuto il coraggio di toccarlo – proseguì ancora mentre, remissivo e con le mani tremanti, deponeva il quadretto tra le mani del sindaco.
– Allora? – fece costui con fare infastidito.
– Era il testimone d'una fede certa. Era la sentinella di una tradizione... e ora?
L'uscere si interruppe un istante, quindi, preso coraggio, guardò il sindaco con fierezza:
– Ma... i simboli non si distruggono – concluse asciugandosi gli occhi mentre l'orgoglio e l'indignazione del maestro che era, ma che non gli era mai riuscito di essere, gli rivoltavano l'animo.
A dire il vero, quel quadro non era un quadro nel vero e proprio senso della parola. Si trattava di un vecchio foglio di carta ingiallita scritto di pugno da un qualche sfaccendato perditempo.
– E ha avuto anche il coraggio di metterci sotto la firma – sbottò il sindaco con un'evidente nota superiorità sulle labbra.
Giorgio Corvi
Fonte: G. Corvi, Il fiore dell'eternità, Gilgamesh, Asola 2019.