Le parole di quei frati sulla povertà mi hanno richiamato alla mente un incontro vissuto anni prima in territorio molisano, proprio nella provincia di Isernia da cui la comunità proveniva. Mi trovavo a Capracotta, il comune più alto dell'Appennino, famoso per i suoi impianti sciistici. Ero andato lassù per un servizio in occasione della più grande nevicata registrata dagli anni Sessanta: la città era nascosta sotto 2 metri e 56 centimetri di neve, un record assoluto che aveva reso necessario l'arrivo di uno spazzaneve di ultima generazione direttamente dagli Stati Uniti.
Il borgo, di origine medievale ma completamente ricostruito in seguito alle devastazioni della Seconda guerra mondiale, è oggi baitato da quasi 800 persone che, assediate in un biancore irreale, vivevano quell'anno uno dei loro inverni più difficili.
In quel deserto abbagliante ricordo di aver visto la figura di un anziano che tornava lentamente verso casa, facendosi strada a fatica nella neve. Si trattava di un ottantenne, ex preside, che con una cortesia d'altri tempi si è fermato a discorrere con me in quello scenario surreale. Oggi che da qualche tempi ci ha lasciato, conservo con commozione il ricordo della sua luminosa dignità e le parole che mi ha consegnato.
Attraverso i suoi racconti ho conosciuto il dramma di quel piccolo paese di pastori, occupato dai nazisti in ritirata subito dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943.
In ottobre i tedeschi entrarono in città e insediarono un ospedale militare nella scuola, buttando dalle finestre i banchi e il resto dell'arredamento scolastico. Poi tagliarono quasi tutte le piante del paese per mascherare i loro automezzi.
Nelle settimane che seguirono si diedero alla razzia di bestiame.
L'anziano che mi ha raccontato questa storia, all'epoca era bambino e viveva con la famiglia in una povera casa contadina. non possedevano, come altri, un gregge di ovini, ma vivevano del frutto della loro terra e facevano affidamento per sostentarsi sull'allevamento di un unico maiale che, una volta macellato, avrebbe sfamato la famiglia per un anno intero.
Quel giorno i nazisti, dopo aver depredato del loro gregge altre famiglie di Capracotta, si diressero anche verso la casa del mio interlocutore che si trovava da solo insieme alla madre. I militari perlustrarono la casa rendendosi conto che l'unico possedimento di un qualche valore della famiglia era il maiale che razzolava in cortile e non esitarono a prenderlo.
L'anziano, dopo più di sessant'anni da quell'evento, ancora piangeva nel raccontarmi come la madre si fosse messa sulla strada degli occupanti, tentando con tutte le sue forze di opporsi al furto del maiale, rischiando la sua stessa vita. Lui era rimasto nascosto come gli aveva intimato la mamma, ma, dopo tutti queli anni, poteva ancora sentire le urla della donna come pugnalate nella carne.
Mentre mi parlava, ho immaginato quella madre che rientrava in casa, tentando di asciugarsi le lacrime, per rimanere forte di fronte al figlio a cui, nei mesi successivi, non sapeva cosa avrebbe dato da mangiare.
Tornato ad Ascoli dopo quella trasferta di lavoro, avevo deciso di prendermi alcuni giorni di riposo da passare con i miei figli. Vedere gli occhi pieni di lacrime di quell'uomo era stato come essere preso e scosso per le spalle, risvegliato da un torpore in cui mi stavo accomodando. Avevo bisosgno di ricordarmi cosa avesse davvero valore nella mia vita.
Dopo la mattinata all'eremo, con in testa le parole di padre Roberto e il volto dell'anziano preside, abbiamo deciso di fare una passeggiata verso un luogo che i frati ci avevano descritto come magico, quasi incantato. Avevo bisogno di immergermi dentro la natura, ne sentivo la necessità.
Massimiliano Ossini
Fonte: M. Ossini, Kalipè. Il cammino della semplicità, Rai Libri, Roma 2020.