Campo di riordinamento, Penisola Salentina, 9 novembre 1943.
Abbracciai la mamma che mi stringeva con violenza, e le dissi:
– Non mi prenderanno.
E agli altri pure, con certa spensierata spavalderia:
– Non mi prenderanno; vivo.
E partii.
La prima sera, a *; sotto la pioggia torrenziale, col suo viso negli occhi, che mi parlava, mi ricordava. E il risveglio nella camera estranea, al mattino così doloroso.
Il fumo del treno, dai vetri rotti. L'incontro casuale con l'amico; e tutti e tre, con l'ex-prigioniero inglese, in viaggio oltre Faenza. Notizie di bombardamento di Bologna: tremila morti sotto le macerie. I Tedeschi dovunque.
Scendemmo a Senigallia per evitare Ancona. Espediente per far entrare l'Inglese nell'albergo: uno in cima alle scale, uno in fondo; un fischio e via.
Pescara, povera città distrutta. All'improvviso, mitraglia, in aria, mentre sull'erba si consuma un po' di pane e olio: un trimotore tedesco che si schianta al suolo. Corro, corriamo, abbiamo incontrato la guerra.
Avanti, a piedi; venti chilometri; di più. Stanchi. È notte. Chieti. Sulmona. Capracotta. Magnifica campagna abruzzese. Castel di Sangro. Fosse anticarro costruite dai tedeschi. Reclutano gli uomini per il lavoro; è pericoloso sostare.
Villa Santa Maria: ho appena il tempo di guardarla nella cuna adagiata. A Casoli si dorme in una sagrestia, su un tappeto da cerimonia.
E la lunga attesa chiusi nell'albergo di Lanciano mentre la rivolta dei partigiani si accendeva nelle vie. I Tedeschi giungono infine con le mitragliere e il cannone. Le sparatorie alle persiane del nostro albergo; la dinamite per far saltare le porte delle case di fronte, per rastrellare le famiglie. Cacciati in branco, le braccia alzate, uomini in pigiama, fanciulletti piangenti... Ecco una madre che trasporta su un carretto, sotto la sparatoria, il figlio riverso, ferito. La fidanzata avanza fra i Tedeschi chiedendo il passaggio per l'ospedale. Ognuno, dentro l'albergo, è spaventato. Io striscio sul pavimento fino alla finestra per osservare.
I Tedeschi sparano col cannone appoggiato alla nostra porta. I vetri si sbriciolano. Ora temiamo, siamo certi, che saliranno a prenderci. Salgo di corsa in soffitta per cercare un'uscita sul tetto. Avverto l'Inglese che è rinserrato in camera. Nascondiamo certe carte pericolose. No, i tedeschi non salgono; s'è fatto buio ed hanno ricevuto l'ordine di ritirarsi. Si allontanano. Bruciano il paese. Dalle finestre si vede già il fumo. Fuggiamo. Tutti fuggono come noi portandosi le masserizie su carrettini, sulle spalle. E dalla campagna, di lontano, inoltrandoci, grosse fumate si levano a nord e a sud.
Poi, a piedi, ottanta chilometri, per raggiungere il fronte.
Nascosti per tre giorni, in attesa, dormendo all'aperto, mangiando di rado, indeboliti. I tedeschi ci sparano se tentiamo di passare. Pattuglie ci cercano.
Infine si decide di attraversare. Si parte all'alba...
Fu assai facile in fondo, perché quella notte stessa il fronte s'era messo in movimento, ma fu necessario coraggio e decisione.
A Bari, dopo alcuni giorni, superato lo sgomento che migiunse a vedere il nostro esercito disfatto e umiliato dinanzi al comportamento benevolo ma altezzoso degli Inglesi, pensai che forse potevamo ancora salvare il salvabile, e i nuovi governanti davano a sperarlo. E così mi arruolai.
E ora eccomi in questo povero paese della penisola salentina.
Rodolfo Doni
Fonte: R. Doni, Faccia a faccia, Casini, Firenze 1964.