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Sole... esci e cuoci


Capracotta villa anni 50
La villa comunale negli anni '60 (foto: V. Simone).

I protagonisti di questa storia estiva non sono ben individuati: sono tutti i capracottesi che hanno vissuto e raccontato il proprio paese, descrivendone la storia, i personaggi, le leggende e che ne hanno portato nel cuore e per il mondo l'immagine, quasi a custodirla nella fantasia, come una vecchia fotografia in bianco e nero: la chiesetta della Madonnina all'ingresso del paese, il corso di Sant'Antonio e, sullo sfondo, Monte Campo con la sua varietà di pietre rocciose, la Chiesa Madre con la sua bianca facciata marmorea e intorno l'ampio panorama che cattura lo sguardo, facendolo entrare in una sequenza di verde, di monti e di azzurro.

Nel racconto dei suoi personaggi, la storia di Capracotta scorre veloce e rivela una infinita varietà di particolari e di suggestioni che vale la pena annotare: l'estate duemiladieci è in corso e con essa il paese sembra sospeso in una atmosfera pacata e vacanziera, che indulge alla spensieratezza quanti, paesani e "forestieri", godono del passeggio per le vie del paese. Il corso di Sant'Antonio viene tracciato con un incessante andirivieni da una moltitudine di "popolazione", che dalla chiesetta di Sant'Antonio va sino alla piazza, con una piccola sosta al termometro posto all'ingresso del palazzo comunale, per scoprire la temperatura di questo piccolo borgo di montagna e per stupirsi che, anche qui, dopo lunghi mesi di freddo, il sole "esce e cuoce" come diceva il mio bisnonno, il quale, rivolgendosi al sole in dialetto stretto, con una sorta di antico saluto, lo pregava di uscire dai suoi appartamenti invernali e di "cuocere" i capracottesi tanto desiderosi di calore.

L'inverno è freddo e non perdona ma i rigori invernali hanno temprato questa gente che si è saputa districare nella vita come in una tormenta di neve, raccogliendo e riponendo i calori estivi per affrontare chissà quanti inverni. I vecchi capracottesi, abbigliati con il cappotto a ruota, di lana grossa e ben tessuta, andavano incontro alla tormenta con la convinzione che alla stessa si può sopravvivere e persino con eleganza! I protagonisti, ognuno a proprio modo, hanno saputo raccontare e tramandare Capracotta: la storia, i personaggi, gli antichi mestieri e le fantasie. E mi sono accorta che i racconti di paese - anche quando sono reali - hanno il sapore delle fiabe: quasi per magia, fanno tornare bambini anche quanti hanno superato da tempo il traguardo dell'infanzia, e altri traguardi e altre mete hanno raggiunto sul percorso dell'esistenza.

I racconti di paese poi, sempre per magia, volano di bocca in bocca con la ricchezza di particolari e di intonazioni, sempre più accese e colorite mano a mano che si procede nella narrazione, e chi li ascolta ha la sensazione di non averli mai uditi o di non averne mai colto appieno la vera essenza. È questa la magia delle favole ed una favola aiuta a crescere, a vivere, ad invecchiare. I personaggi poi in questa narrazione paesana divengono protagonisti ed eroi di un mondo scomparso, che sa di antico, e rievoca attimi di vita che riaffiorano dal passato con tutta la loro carica vitale. Zio Giacomo, nella sua gioventù, era solito narrare ai nipoti tante storie e, prima di cominciare a raccontare, chiedeva:

– La storia, la volete con la cornice o senza?

Tutti in coro rispondevamo: – Con la cornice!

Per lui, falegname di Capracotta, oggi uomo di quasi centodue anni ed in passato abituato a dare forma e consistenza al legno, costruire una cornice intorno alla storia rappresentava una sorta di esercizio di immaginazione, che conduceva il pensiero a percorsi ed arricchimenti artistico-letterari così da esaltare la ricchezza dei particolari, del linguaggio, della narrazione sino a catturare la fantasia dell'ascoltatore in una ricca sequenza di eventi e di personaggi che, ancora oggi, animano la mente di noi che da piccoli li abbiamo ascoltati, immaginati e quasi impersonati. Allora la narrazione, dalla sua struttura semplice, diventava articolata e complessa ed il semplice "cammina e cammina" delle fiabe, pronunziato con intonazione solenne e misteriosa, si trasformava in "cammina e cammina... cammina e cammina... cammina e cammina"!

Nella famiglia non è stato il solo a raccontare (anzi a costruire) storie perché a Capracotta ancora viva è l'arte del racconto e ancora viva è l'arte di descrivere i personaggi che simboleggiano il vissuto di un mondo scomparso. I personaggi della narrazione poi non sono eroi ma persone semplici, che dalla loro semplicità hanno tratto ricchezza e motivo di orgoglio nel vivere. Zio Giacomo, di storie con la cornice in vita sua ne ha raccontate tante e di personaggi ne ha descritti. Le sue fiabe mi tornano in mente ancora oggi con tutta la ricchezza dei particolari (ricordo la storia "del signor Donato e della signora Donata"; la storia della "moglie bisbetica matta e pazza"; la storia del cece) e penso a quanto sarebbe bello trascriverle per raccontarle ai bambini di oggi che, tra internet ed elettronica, potrebbero riprendere finalmente a sognare! Nella tranquilla estate capracottese, dalla memoria di zio Giacomo, e non solo dalla sua, abbiamo scovato un altro personaggio di Capracotta antica: il mitico Padre Placido. Padre cappuccino, distintosi non solo per essere divenuto il padre guardiano del famoso convento dei cappuccini di via Veneto a Roma.

Pare che quest'uomo - di manzoniana memoria - vissuto nel secolo scorso avesse doti di gran predicatore e che uomini e donne accorressero per ascoltare le sue prediche sul senso della vita, sull'etica, sulla moralità pubblica e privata. Nelle sue prediche sovente, ripetendo un antico componimento, declamava a gran voce:

– Quando i tempi eran bui e tempestosi i ladri si appendevano alle croci, or che i tempi son leggiadri, si appendono le croci in petto ai ladri.

Quando lo zio Giacomo era piccolo, Padre Placido lo portava con sé a Sant'Angelo del Pesco, ove erano stazionati i cappuccini, per ascoltare le sue prediche. Padre Placido seguì zio Giacomo anche durante il periodo dell'adolescenza (che invero a quei tempi durava ben poco perché scarso era il tempo da dedicarle) sino a che il giorno del suo matrimonio con zia Maria, dopo il rito solenne e dopo la firma degli sposi, Padre Placido, in dono e quasi a voler suggellare l'importanza dell'impegno assunto, regalò agli sposi la penna d'oro con cui avevano firmato il certificato di matrimonio. Quanta magia e solennità nei ricordi di un vecchio capracottese, preziosi nel significato come la cornice delle storie paesane, racconti cesellati e costruiti su un percorso di vita lungo un secolo! Anche la storia del paese acquista un sapore particolare dai preziosi racconti di zio Nannino (il fratello di zio Giacomo), salesiano, professore di lettere, arte, storia, conoscitore di storia medievale e grande appassionato e studioso di storia carolingia. Mentre mi racconta Capracotta dalla formazione del globo terracqueo sino alla seconda guerra mondiale, penso a quanto sarebbe bello se nelle scuole la storia venisse insegnata partendo dalle proprie radici culturali e facendo comprendere che i veri protagonisti della storia sono sì gli uomini e gli eventi ma anche i luoghi nei quali costoro hanno vissuto e operato.

Mi spiega molto seriamente che "Capra" è un toponimo italico anteriore anche a Roma ed indica un ammasso roccioso sporgente dalla superficie. Del resto, aggiunge, la capra stessa ha questo nome perché ama arrampicarsi su luoghi rocciosi e Capracotta è proprio un bel luogo roccioso! Per "Cotta" mi dice che è più difficile comprenderne il significato originario e si può anche pensare che cotta venga dal greco "copto", ovvero "taglio", per cui Capracotta in origine significava "roccia tagliata". Significato che ancora molto vicino a come in dialetto si chiama la parete rocciosa su cui si allinea l'abitato del paese verso nord-ovest (Ritagli).

In questo racconto, zio Nannino torna spesso e volentieri alle rocce su cui sorge Capracotta e mi spiega che tali rocce esistevano già milioni di anni fa quando addirittura non esisteva ancora l'Italia: dove oggi è affiorata l'Italia c'era solo una grande distesa di mare azzurro, sul cui fondo argilloso per milioni di anni si andavano formando, per successiva sedimentazione, quegli strati di calcare che oggi vediamo formare a struttura rocciosa e stratificata di Monte Campo. Mi ricorda che chi passeggia per la Guardata, ove si fermi ad esaminare ammirato uno dei macigni che costellano i locali pascoli, vedrà che gli ammassi calcarei sono costellati di fossili (conchiglie o madrepore). Segno evidente che le rocce erano immerse nel mare e hanno avuto origine da un fondo marino e mi spiega che con l'attuale Alto Molise il sollevamento appenninico raggiunse il massimo nel territorio di Capracotta. Capracotta, nel racconto storico di zio Nannino, nasce direttamente dal mare e la didattica che utilizza per spiegarmi questa nascita è davvero entusiasmante: da piccola in effetti andavo spesso con lui alla ricerca di conchiglie sugli ammassi rocciosi e con quale meraviglia! Cercavo qualche spunto per raccontare Capracotta con gli occhi di chi ha sempre amato questo paese e la sua storia ed è proprio attraverso i racconti dei suoi protagonisti che riesco a comprendere la ricchezza della tradizione e della storia. Rimango colpita dalla ricostruzione storica e da questi uomini che raccontano Capracotta ed a loro volta, nel raccontare, si raccontano...

Ci sono anche uomini scomparsi, che io stessa voglio raccontare divenendo, sia pure per poco, protagonista del racconto. Si tratta di uomini che con la loro semplicità e con le loro abilità artigiane hanno caratterizzato il paese, rimanendo vivi nella memoria di molti. Penso ai miei nonni: uno ciabattino, l'altro falegname. Del primo, ho un ricordo ben preciso; il suo banchetto da lavoro, sempre ingombro di ogni attrezzo utile per riparare le "suole" e le "tomaie" delle scarpe che dovevano camminare e passare attraverso molte stagioni! Il mastice, ingiallito e colloso; i martelli, di varia forgia e dimensioni; le forme delle scarpe e tante, tante scarpe, anche spaiate; la sua figura mite, con indosso un ampio grembiule di cuoio, ricurva sulla postazione di lavoro. La piccola bottega, con la botola che conduceva all'abitazione, aveva un non so che di magico e noi, che allora eravamo bambini, incuriositi guardavamo questo nonno che nell'immaginario collettivo viene ancora oggi ricordato come Mastro Enrico (in capracottese Masctr'Enriche). Il secondo, abile falegname, anche lui detto Masctre Giulie, in tenuta da lavoro, girava elegante e sorridente per la casa con la sua giacca di velluto! Un falegname che va a lavorare indossando una giacca di velluto? Sono proprio distinti questi capracottesi, veri professionisti e sempre impeccabili nel vestire. In questo caso però la giacca di velluto era una giacca da lavoro addobbata da segatura che, alla luce del mattino, cangiante e luminosa riluceva come velluto chiaro, ingannando noi che eravamo bambini e che vedevamo tutto con gli occhi curiosi e puri dell’infanzia! La bottega ed i suoi lavoranti sono per me un prezioso ricordo di bambina... il lavoro artigiano era al centro della vita paesana e si tramandava e si apprendeva... il lavoro si tramandava nel paese così come si tramandavano i racconti e le storie degli uomini.

E intanto, tra un racconto e l'altro, l'estate è terminata e Capracotta si prepara ad accogliere un altro inverno e chissà quante altre storie e altre vite da raccontare. A proposito di personaggi e di storie e per arrivare alla morale della favola... bisogna prestare attenzione al senso dei racconti tramandati e alla loro valenza pedagogica. Quando nella vita ho avuto momenti di presunzione, ho sempre ricordato, con un sorriso, il detto che circolava in famiglia per essere stato pronunciato, almeno così sembra, da un padre capracottese al proprio figliolo, il quale, come solitamente accade da giovani, si inorgogliva al cospetto del genitore. Questo padre, per frenare gli impeti di orgoglio del giovane, con una saggezza antica e con inusitata ironia, gli si rivolse dicendo:

– Figlio mio, quelli come te passano a carrettate!

In dialetto la frase - impronunciabile per chi non abbia dimestichezza con la lingua - acquista ancora più significato ed ironia; allora mi sono convinta: è vero che le storie aiutano a vivere a tutte le età! Questo mottetto, facendomi sorridere, mi ha accompagnata e mi accompagna spesso quando la tentazione di cedere all'orgoglio e alla presunzione si affaccia nella vita. Infine, un omaggio va a quel simpatico capracottese che dopo la distruzione del paese durante la seconda guerra mondiale, commentava straziato ed ironico i nefasti eventi:

– Tutto potevo immaginare ma non che la guerra sarebbe arrivata anche nella soffitta di casa mia.

La morale della favola in questo caso? L'ironia e la semplicità di vita rendono accettabili anche gli eventi più traumatici... ed in questo i lunghi ed i freddi inverni capracottesi hanno contribuito a formare i caratteri e la personalità dei loro uomini, che perciò possono permettersi persino di rivolgersi al sole e di dirgli:

– Sole, esci e cuoci!


Luisa De Renzis

 

Fonte: L. De Renzis, Sole... esci e cuoci, in AA.VV., I racconti di Capracotta, vol. I, Cicchetti, Isernia 2011.

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