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Le sorgive di campagna


Fonte Sambuco
La Fonte del Sambuco (foto: A. Mendozzi).

Laudato si', mi' Signore, per sor'acqua, la quale è molto utile et hùmele et pretiosa et casta...

Le fonti campestri si identificavano con le contrade dell'agro. Sicché, indicando una fonte, ci si riferiva ai terreni siti nella zona ove essa era ubicata. Alcune di esse sono molto conosciute (o per lo meno lo erano); altre meno; di altre, infine, è emerso il nome da una raccolta fatta da Gregorio Giuliano. Chi, girovagando per la campagna incolta, se s'imbatte in una vecchia fonte, non gioisce intimamente come se avesse ritrovato un caro e vecchio amico? Chi, non trovandole più dove si aspettava di trovarle, o scorgendo al loro posto erbacce e pozze d'acqua torbida, non si sente opprimere da un sentimento penoso di accorato rimpianto? Vecchie, umili sorgive di campagna, com'era gradevole e familiare il chioccolìo ciarliero e giocondo con cui vi annunciavate allo stanco e accaldato passante! Che sentimenti di pace intima, sereni e limpidi come le vostre acque, suscitavate! Lievi come i pensieri dell'infanzia fruivano le vostre linfe. In quei vecchi tempi, i tempi delle campagne coltivate e degli artigiani ed operai che si trasformavano, all'occorrenza, in contadini, i nomi delle fonti campestri e boschive erano sulla bocca di tutti: entravano nei discorsi quotidiani, come il pane, l'olio, il vino. Oggi, per le mutate condizioni di vita e di lavoro, gli interessi sono rivolti altrove e i nomi delle sorgive di campagna sono andati in disuso.

Alcune di esse si sono disseccate o disperse. I piloni per l'abbeverata, di cui molte erano dotate, sono in frantumi. Le cannelle dell'acqua, rotte o scomparse. Non c'è più interesse a mantenerle in vita. L'oblio le sta ricoprendo. Forse un giorno, quando l'amore per la montagna e le sue nascoste bellezze prodigiosamente rifiorirà, ci si riprenderà cura delle vecchie fonti campestri e boschive. Piacerebbe indicare, di tutte le fonti di campagna esistenti, o che esistevano, nell'ambito del territorio comunale, l'esatta ubicazione. Purtroppo non si è in grado di farlo. Più che una ricerca, il presente è un modesto lavoro di annotazione di pensieri ed emozioni suscitati dal ricordo o dalla rivisitazione, almeno in ispirito, delle antiche fonti di campagna. Inoltre, come si potrà notare, si è dato libero gioco alla fantasia, nel cercare di risalire all'origine dei nomi delle fonti stesse. Tra le fonti campestri e boschive che s'intitolano ad animali, si ricordano la Fonte dell'Orso, la Fonte del Lupo e la Fonte del Sorcio. La Fonte della Gallina, pur essendo ancora frequentata, non è nel territorio di Capracotta. Anche la Fonte dell'Orso trovasi fuori dei suoi confini: sembra, poco oltre la linea di demarcazione, nel "tenimento" di San Pietro Avellana. È però così lontana da questo paese che i suoi abitanti ne ignorano l'esistenza. I Capracottesi invece la conoscono da sempre e ritengono che essa, se non di diritto, appartenga di fatto al territorio del proprio comune. È la più nota delle tre sorgenti più sopra ricordate. Si trova nel versante occidentale di Monte Capraro, sotto la parete rocciosa della cima, a mezza costa del ripido declivio che scende a valle. La scorgi solo quando, percorrendo uno stretto sentiero che s'insinua, ombroso, tra i grandi faggi della foresta, vi giungi vicino, a due passi. Non te l'aspetti proprio di trovarla in quel punto. Ti dà subito l'impressione di essere lassù, a quell'altitudine, come sospesa. Fitti alberi frondosi le si stringono intorno d'ogni parte. Non c'è, vicino, neppure un piccolo spiazzo. L'acqua che sgorga dai crepacci della rupe scorre fra due embrici, sistemati a cannella, fresca, cristallina, defluisce placida verso il basso, attraverso un sinuoso e ripido cunicolo.

Niente turba la grande pace silvestre del luogo. Non si ode alcun rumore. Sotto, si stende, ampio, ondulato, il verde manto della foresta, nel quale si aprono, qua e là, belle radure e si alzano poggi fitti di vegetazione. Lo sguardo riposa nella contemplazione dello stupendo panorama, che t'infonde un senso di inesprimibile serenità. Scorgi, in una radura, un pagliaio e il pensiero corre ai vecchi pastori e ai boscaioli che venivano quassù per i pascoli e per il taglio. Salivano a dissetarsi all'alpestre sorgiva. Salivano pure qualche volta, lupi solitari, due instancabili escursionisti della montagna: Giovanni Antonio Paglione e Noè Ciccorelli. Dopo anni di solitudine, ogni anno vi sale qualche gruppo di escursionisti, giovani e meno giovani, a cui è commesso di dare una risistemata alla vecchia fonte.

E l'orso a cui il nome della fonte rimanda? Chi furono quei boscaioli o quei pastori che ebbero una mattina la sorpresa, non priva di trepidazione, di trovare presso la fonte il grosso plantigrado, sconfinato forse dal vicino Parco Nazionale d'Abruzzo? E quando la nuova si diffuse in paese, i sogni dei ragazzi forse si popolarono di altri misteri e di altri incubi. Andiamo adesso sotto a Monte Campo a rivisitare un'altra vecchia sorgiva dei boschi, o per essere più esatti, il luogo ove essa una volta sgorgava. Non si sa bene cosa volesse dire il nome col quale veniva indicata. Sto parlando della Fonte dei Carovilli. Era in quei tempi molto frequentata: dai boscaioli, dai mandriani, da Lucia di Milione, quando andava per funghi o per fragole, dalle donne che andavano a far fascine. Le comitive di giovani, se volevano fare una scampagnata coi fiocchi, sceglievano solitamente la bella radura rallegrata dal murmure lieve di questa fonte: una radura appartata, tra ombra e sole, in seno a quella magnifica selva costituita dalle fitte faggete del Campo e della Cannavinella, che più a valle si fonde con l'abetaia di Pescopennataro. Qualche gruppo di gitanti scendeva direttamente dalla cima del Campo, giù per la parete Nord; qualche altro vi perveniva dal guado di Portella Ceca.

La fonte, con una bella pila per l'abbeverata, era nella parte bassa della radura. Sopramano, c'era uno spiazzo erboso, all'ombra di frondosi faggi. Era il luogo prescelto per il trattenimento e la refezione. Che ne è della sorgiva? Al suo posto si stende un viluppo di piante acquatiche, di erbacce. E la pila dell'acqua? Non se ne ha più notizia. Anni fa ci passò la ruspa con l'intento, credo, di ricapare l'acqua, forse per portarla a Prato Gentile. Fu la fine della Fonte dei Carovilli.

Usciamo dai boschi e rechiamoci all'aperto, a rivisitare le fonti campestri, quelle che hanno dissetato generazioni di contadini e le cui origini si perdono nella notte dei tempi. Lungo la vecchia, sassosa mulattiera che portava a Macchia, passando sotto alle Cimalte e all'Orto Ianiro, c'era (e forse c'è ancora) la Fonte dei Pezzenti. Era una delle più note fonti campestri: un punto di riferimento per tutti coloro che avevano i terreni nell'agro sud-orientale. Il suo nome lo imparavano presto pure i bambini.

Poveri mendicanti girovaghi, che peregrinando di paese in paese, sostavate alle fresche sorgenti, nella campagna assolata, giusto per bere un sorso d'acqua e per mettere a mollo i tozzi di pan secco delle vostre bisacce, come potevate pensare che avreste dato il nome ad una di esse? Negli ex possedimenti ducali dell'antica contrada di Macchia si trova la Fonte del Duca. Punto di sosta e di riferimento per tutti coloro che si recavano nelle campagne vicine o che andavano ad Agnone.

Un po' più a oriente sgorga la Fonte del Romito. Tutte e due scaturiscono dalla falda acquifera del Colle di San Nicola. Se la prima poteva trovare interiori risonanze di antiche dignità nobiliari, la seconda era nobilitata dalla famosa Tavola Osca, che fu rinvenuta nelle sue vicinanze. Ed ora, la Fonte di Carminantonio. Chi sa dire dov'è o dov'era? Seguiamo il gioco dell'immaginazione. Carminantonio forse un giorno, mentre vagava nel suo campo, ebbe la gradita sorpresa di vedere affiorare dal terreno una polla d'acqua. Pieno di entusiasmo, scavò, cerco le altre vene acquifere, le convogliò verso la polla principale, fece una conca e vi applicò una cannella: era nata la sua fonte, la Fonte di Carminantonio. E la Fonte Malcorpo? Ammesso che esista ancora, dovrebbe trovarsi nelle campagne che si distendono, in basso tra Vallesorda e le Fonticelle.

Era guardata con sospetto. Si raccontava di un contadino che dopo aver bevuto alla sorgente, ebbe delle forti coliche addominali. L'acqua era dunque inquinata?Da che? O forse era troppo fredda e la bevuta era stata abbondante? Fatto sta che la vecchia fonte cambiò nome e divenne odiosa un po' a tutti.

Un piccolo catino e un grande pilone. E giacché siamo nei pressi di Vallesorda, diamo un'occhiata alle due note sorgenti boschive che vi sono racchiuse: la Fonte del Bacile e la Fonte della Netta. Poco oltre l'entrata del bosco, sottomano alla strada, c'è una sorgiva che versa un filo d'acqua fresca in una piccola conca a bacile, il bacile che le ha dato il nome. Era meta di spuntini domenicali e qualche volta di scampagnate. Credo che non ci vada più nessuno.

Il pensiero corre a te, anonimo compaesano, che scalpellasti, forse durante il taglio del bosco, la piccola conca a bacile e vi facesti pure un canaletto per il flusso dell'acqua. Silenziosa fluiva l'acqua della tua fonte all'ombra fitta dei faggi di Vallesorda.

Più a monte, in una radura, poco distante dal Coppo della Madonna, c'è la Fonte della Netta. Andiamo a rivederla. È sempre ricca di acqua. Si specchiano nella sua grande pila, rivestita di borracina, le cime dei faggi. Vengono ancora ad abbeverarsi gli armenti. Fino a qualche anno fa era la meta preferita per le scampagnate di un affiatatissimo gruppo di gitanti di Sant'Antonio: scampagnate fatte ovviamente con i benefici che la tecnica moderna pone al servizio dell'uomo: senza tanti sprechi di energia motoria, dunque, come del resto è in uso dappertutto.

La Fonte Fredda e la Fonte Gelata, le due gelide sorelle. Andiamo a trovare la prima, la seconda non ricordo dove sia. Usciamo dal paese per la via in cima alle Croci; giunti sopra al serbatoio, imbocchiamo, a destra, la mulattiera che portava alle Macerie e di là al Precorio. In alcuni tratti, di essa, non si distingue più nessuna traccia. È qui che Zimba e Bandista chiusero i loro poveri giorni. Giunti alle Macerie, facciamo una rapida ricognizione. Ci siamo: sei proprio tu, Fonte Fredda, col tuo pilone per l'abbeverata. Intorno ti crescono giunchi ed erbacce. Che movimento di mandriani, di pastori, di armenti, di gente dei campi c'era da te! Che pace, che solitudine oggi! Com'era fresca la tua acqua!

Sulle pendici occidentali del Monte di San Nicola, poco sopra alla mulattiera che scendeva a Macchia, c'era la Fonte del Forno. Doveva esserci, vicino, un forno di campagna dell'antico borgo di San Nicola, «i cui abitanti furono decimati dalla peste del 1656: le casette, abbandonate o distrutte». Era una piccola sorgiva, le cui vene sin d'allora andavano disperdendosi. Vi andavano per acqua dai terreni di Macchia e di Cimalte. Il mistero del piccolo borgo di San Nicola, di cui, sul monte, sono ancora visibili rade rovine, aleggiava anche sulla vecchia fonte.

Che dire di voi altre, umili sorgive di campagna, di cui si sa cosi poco? Scaturite ancora dal seno della madre terra, fresche e limpide come una volta? O vi siete anche voi disperse? Fonte Nascosta, dove ti nascondi? Nel folto di quale bosco o presso quale anfratto custodisci gelosa la tua linfa? Fónde de re Cuppiéglie, versi forse la tua acqua, come il nome fa supporre, in una coppetta simile al bacile di Vallesorda? Fonte Murata, è vero che la tua acqua sprizza, come un fresco e vivace zampillo, dalla viva roccia? E voi, Fónde Varde Vuória e Fónd'Ammóne, dove vi siete cacciate? Quale mistero è racchiuso nei vostri impicciati nomi?

Le grandi sorgenti. I Cimenti, la Spogna e la Lama, chiamate comunemente fonti, sono in realtà sorgenti di notevole flusso, che alimentano il Verrino. Tutte e tre scaturiscono dal bacino acquifero di Monte Capraro e Monteforte. Fonti dei Cimenti e della Spogna, voi avete dignità di affluenti minori. Di voi si parlava come di possibili alimentatrici dell'acquedotto del paese. Le vostre copiose acque, fonti della Lama e dei Cimenti, facevano gola agli Agnonesi, i quali nel passato, come ricorda Luigi Campanelli nel libro su citato, cercarono, con pretestuose motivazioni, di impadronirsene.

Prima di chiudere questa rassegna, due parole dedicate a tutte le altre fonti campestri e boschive del territorio del paese, che vengono in mente.

Un pensiero a te, Fonte Brecciaia, da tutti tanto amata, che versi la tua fresca e buona linfa fra i cantoni e i rovi della Guardata. Un pensiero anche a te, Fonte di Santa Lucia, che sgorghi lieve dalle rocce del Campo; e uno a te, Fonticelle, che nonostante le strapazzate degli ultimi anni, che ti hanno sballottata e divelta dalla tua sede antica, sei fortunatamente ancora in forma. E come dimenticare voi, Fonte del Sambuco, sorella, in un certo senso, della Fonte degli Angeli, Fonte del Cippo, figlia della vecchia acqua del Precorio, Fonte dell'Acqua Nera di Monteforte; Fonte di Sotto al Monte, che hai allietato generazioni di comitive?

Un ricordo anche per le vostre sorelle minori, qui non nominate, con l'auspicio che non scenda mai su nessuna il velo dell'oblio.


Domenico D'Andrea

 

Fonte: D. D'Andrea, Sul filo della memoria, a cura di V. Di Nardo, Capracotta 2016.

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