La strada pastorale gonfia ai bordi
l'onda di nuove lane, come in cielo
la Via Lattea raddensa la sua chioma
più morbida di stelle. Già in pianura
l'archimandrita avvolto nel tabarro
sta immobile nell'ululo selvaggio
dei venti. Ad una legge secolare
egli obbedisce; e non lo tiene pure
il suono che nel cuore il vecchio dio
Pan gli versa dal flauto armonioso?
Lì fermo sul bastone d'avellano,
le piante ha radicate come un fauno
dentro le pieghe erbose della terra
di Puglia che col fascino materno
a sé l'avvince. E i tinnuli campani,
che mescolan l'argento di lor timbri
ai tremuli belati intorno erranti,
solo egli sente, e i brividi dell'erba.
Cala la sera e il caldo ovil dischiude,
mentre svanisce in cielo la montagna.
Dal Tavoliere, verso tramontana,
o pastore d'Abruzzo, quando è chiara
l'aria, tu scopri con lo sguardo acuto
il bel profilo della tua montagna.
E la discerni ché per l'ardue nevi
è bianca sovra il fondo cilestrino
del cielo, e sacra al cuore tuo di figlio.
E il tratturo è la via che nell'ottobre
col branco ti sospinge in basso, e dopo
nel maggio ai freschi mai ti riconduce;
la via che come un verde fiume aulente
fin dai millenni agli avi dei tuoi avi
si schiuse giù dal monte alla pianura;
e questa, al pari di seconda madre,
te nutrì, fin d'allora, di dolci erbe.
Ma non della Maiella, del Gran Sasso
era quel pecoraio ch'or è un anno
qui nella piana s'ammalò d'amore.
Veniva dalla terra di Camarda,
e giovin era, e ben provvisto capo
di numeroso gregge; e come errava
per le viuzze d'un di questi borghi,
ove lo stazzo aveva dell'armento,
gli prese il cuore un bel balcon fiorito
di rose sulla porta d'un gran forno.
I butteri calavan con le mule
in paese, recando a basto il fresco
cacio alla pesatura, un giorno solo
per settimana, come l'erba scarsa
era nel verno e assai più scarso il frutto.
Ritornavano al poggio verso il vespro
con le fiscelle vuote di ricotta,
ma con in cambio, dentro le bisacce,
il pane caldo: il prezioso dono
offerto dalla casa alla campagna.
Or nel tempo più aspro ben più carchi
si curvavano i dorsi delle mule
fin sui fianchi coperti delle rame
dell'olivo, il sapor delle cui fronde
spandeva nella bocca delle bestie
aroma d'olio e latte. Il giovin capo
sulla soglia attendeva impaziente:
aiutava i garzoni a trar le frasche
nell'ovile che come una selvetta
si serrava d'argentei ramoscelli;
e poi con umil atto agli aspettanti
distribuiva la più eletta grazia
del pane, la sostanza su cui mani
tenere eran passate a por la croce,
l'umile segno di benedizione.
II padrone del forno a sé in disparte
un dì chiamò la donna: – La ragazza
adesso cuce dalla sua maestra;
stammi dunque a sentire. Non mi garba,
già te lo dissi, il giovin castellano
di Camarda. So bene ch'è provvisto
alla montagna di podere e casa
e di buon gregge, e suole qui fornirsi
in grosso di farina, pane e d'olio.
Ma la figliuola nostra non mi sento
di dargliela per moglie. Molto meglio
per lei sarebbe un fabbro, un mastro d'ascia
del paese, e finanche un mio garzone
che mi portasse avanti questo vecchio
forno. Quel montanaro invece lungi
di qui la condurrebbe ad appassire
nelle case, fra i salici e le nevi
del Gran Sasso. E ricordati del detto
che mai non falla: gli uomini d'Abruzzo
per un vomere danno in cambio un ago,
ci succhiano la terra e se ne vanno.
Dirò ai garzoni che le lor provviste
se le facciano altrove, e che qui dentro
non vi mettan più piede; ché costoro
dei monti sono di fatture esperti.
II giovin ebbe il cuore in gran tumulto,
e a quella volta un giorno se ne venne.
Ma l'uomo, sempre fermo, alfin concluse:
– Sappi che adesso più non mi convince
la grande utilità del tuo mestiere.
Non vedi che la terra si trasforma?
Ove son più da noi quei folti boschi,
quei grandi paschi che assiepavan dentro
le nostre case? Fan carbone e legna
dei boschi, e seminati fan dei paschi,
sì che pochi ne resta. E mi domando:
quale bisogno abbiamo noi del cacio,
della pecora? Il grano a noi bisogna,
per farne la farina e il pan che sazia!
E l'uom che lo produca è necessario,
e un forno che lo metta fuor ben cotto
per la povera gente or come il mio
fa che può dare cento chili al giorno.
Un uom che a ciò s'industri per me conta,
e me farà felice con mia figlia.
Umberto Fraccacreta
Fonte: U. Fraccacreta, Nuovi poemetti, Cappelli, Bologna 1934.