La donna, che cuciva accanto a loro,
all'uomo sempre intento alla fatica
disse: – Per ritornello un tempo avevi
che costoro d'Abruzzo sono gente
ruvida e dalla testa dura, come
l'aspro granito delle lor montagne;
ma lui ha più che un briciolo di cuore,
e parla come un musico che incanta. –
L'uomo taceva e si sentiva solo,
solo nel forno con l'aduste braccia.
Col giorno delle Ceneri poi venne
il tempo della rigida astinenza,
e le due donne, che il quaresimale
giù ripiegava nelle lunghe soste
dei venerdì di marzo, impazienti
furon di bere al calice celeste.
Asperso di domestica rugiada,
sulla bambagia crebbe presto al buio,
nella quiete della casa, il grano
coi lunghi steli gialli in sofferenza.
La fanciulla l'aveva in sua custodia
quel po' di grano che le ricantava,
nel grande amore di Gesù, la pace
delle estasi odorate dell'incenso.
E un giorno cupo di silenzio e d'ombra
con pure mani ne intrecciò la chioma,
perché non sole o vento, ma l'ebrezza
provasse di morire nel sepolcro,
pallido di tremore, in un supremo
atto d'offerta, ai piedi dell'altare.
I butteri e i pastori a prender Pasqua
vennero nelle chiese e per le case,
seco traendo agnelli e ramoscelli.
E i rami si portaron benedetti
ai loro paschi e nelle loro mandrie,
perché men scarso d'erba fosse il prato,
e più abbondante il rivolo del latte,
e più dolce il riposo; ove le carni
presto immolate furono, secondo
vuole l'antico rito, sulla mensa.
E all'opera più alacre risonava
il forno, nelle spire della rossa
fiamma accogliendo i pani e le focacce
e le carni dal fumo inebriante.
E l'uom restituiva quella grazia,
ormai fatta nel caldo del suo forno
bruna e forte, alle donne che per entro
fra l'origano avevano intrecciato
steli di palma per santificarla.
Fiori di pesco e tuniche celesti
fluttuaron nell'aria, e la campana,
silenziosa per due giorni interi
di passione, su dal piano ai clivi
all'uomo ricantando l'alta gloria,
onde gonfie d'argento intorno sparse.
Alla mensa di Pasqua l'uomo accolse
il giovine che s'era già promesso
il giorno della Candelora, e il latte
così rappreso nell'usate forme
asperse del suo lieve aroma d'erba
la santità del pane e dell'agnello.
Dopo l'uomo s'aprì con la sua donna:
– Or voi donne osservate zitte, meglio
che noi uomini. Il nostro pecoraio
da un mese a questa parte già mi pare
un po' più mogio e mutolo. Vien maggio
e di nozze non parla. Eppur dovrebbe
farsi codesto parentado, innanzi
che parta con le pecore! Qual figlio
da due mesi l'accolsi nella casa.
Ma la donna sapeva: – Oh no, timore
non v'è. Sempre lo stesso, più pensoso
egli è a causa del gregge: nel gennaio
la malerba dal cupo fior turchino,
nella valle Capoccia ove più fonda
è l'ombra, a nove pecore gli attorse
le budella. E fu cruda l'invernata,
e magra d'erbe poi la primavera,
né più buona è la frasca dell'olivo.
Per questo è triste: la stagion del cacio
va sempre peggio e, se continua asciutto,
in via si metterà prima di maggio.
Al suo ritorno si faran le nozze,
per bene e senza fretta; e alla Montagna
dell'Angelo trarremo presto in voto.
Umberto Fraccacreta
Fonte: U. Fraccacreta, Nuovi poemetti, Cappelli, Bologna 1934.