Eran chiare le notti, e già a ponente
la luna nuova s'inarcava rossa
a maggio, come sposa adorna d'astri.
E piamente mossero sui carri
verso Monte, e con essi alcune donne
i cui figli attendevan cavallucci
di cacio ed ostie piene. La vallata
dall'ombra verde di Stignano come
una culla li accolse nel suo grembo.
Scese la notte e il morbido suo fiume
azzurro schiuse, tremulo di stelle;
e un suon di canna agreste, dai silenti
faggi della campagna fatta scura
e dolorosa, a mescersi poi venne
alle piane lor preci. La prim'alba
ad altri li confuse che per altre
strade alla stessa valle Carbonara
eran giunti, sboccando ad una foce,
in un flutto di canti e di stendardi;
e avanti a loro messa fu l'insegna
cinta di veli e adorna di fioretti,
e, dietro, i pellegrini scalzi in coro
su per l'erta salita verso il Monte
alla cui cima, come un baluardo,
rosseggiava nel cielo il santuario.
Or avvilito e triste il pecoraio
con le pecore, i butteri e i pastori
abbandonava il pian di Puglia al suono
querulo dei campani. Alla pastura
estiva, dove fra i bacini eccelsi
l'acqua ricanta la sua gioia all'erbe,
or spingeva la torma tutta scarna
e senza lana il giovine d'Abruzzo;
ma il tratturo, sebbene asciutto al fondo,
le prode aveva ancora violette
di nuova malva; e l'avido suo gregge,
sostando ed indugiando lungo i fossi
e i margini, più lento andava; e dietro
non lo premeva assorto il mandriano,
ché il suo cuore lasciava alla pianura.
Già paghe alla promessa dell'addio,
or le donne più dentro nella casa
si ritrassero a far le tele e i lini,
perché fossero pronti al suo ritorno.
Poi la campagna s'ammantò di giallo:
favorita dai freschi venti occidui,
si strinse l'oro nelle dure spighe;
e grande fu l'offerta del frumento
fatta dal Tavoliere non mai esausto,
ove il ciel l'assecondi, di donare
al colono più provvido e tenace
il giusto premio delle sue fatiche.
Ed affacciato all'uscio del gran forno
or egli ansioso domandava, e fino
a lui giungeva l'eco del clamore
dall'aie vaste ed assolate, dove
già s'ammassava il grano. Una mattina
che alla porta sostarono i carretti,
più sacchi rotolarono nel forno,
stretti alla gola e pieni di frumento.
E quei, traendo in casa la dorata
messe, rendeva grazie: – Ancor permetti,
o Signore, ch'io faccia le provviste:
avrà nel verno il forno l'alimento,
né verrà meno ai poveri il buon pane.
Poi la campagna s'intristì nell'afa
della torrida estate, nel silenzio
dell'opre smesse e nell'urlante rabbia
dello scirocco, come un morto suolo
che la luce devasti coi corruschi
gorghi. Così ristora, nell'influsso
degli astri, e rifeconda le sue forze
il Tavoliere, scrigno ognor possente
dell'amore di Dio, che vi s'asconde
nell'infinito campo delle zolle.
II silenzio cresceva nella casa
come un'ombra notturna, con presagio
di tristi giorni. Disse allora l'uomo
alla donna: – Tu vedi che non vane
eran le mie parole: il pecoraio
più non s'è fatto vivo, e si capisce.
L'annata è stata grama e le speranze
più non sono pei greggi. Forse a mente
tiene il mio detto: fan carbone e legna
dei boschi, e seminati fan dei paschi.
E sai, anche il bel Parco della Notte,
tutto ombroso di querci, cerri e d'olmi,
presso lo Spino Santo che frescura
dava in estate e caldo nell'inverno
alle vacche per entro i rami folti,
pur quello è stato rotto con l'aratro,
perché il grano ci vuole per il pane,
e non il cacio, come già gli dissi.
E forse questo lui se lo ricorda.
Più non v'è qui pastura e lui non torna,
e tu la figlia avrai sempre nel pianto.
Son costoro del Sannio e dell'Abruzzo
come i lor carbonai di Capracotta,
che qui carbone e legna fanno, e soldi
rivendendoli a noi con la bilancia;
e poi, quand'è l'estate, alla Fontana
dell'Orso se ne vanno. Ma per questi
pure verrà la fine, ché la terra
di Puglia è nostra, e i nostri contadini
che la lavorano essa adunque sazi!
Umberto Fraccacreta
Fonte: U. Fraccacreta, Nuovi poemetti, Cappelli, Bologna 1934.