Alla fine, eccomi giunto sulla vetta del Campo, a 1.710 metri di altezza, dopo un'ora di faticosa ascensione, fra rocce scoscese e macerie rotte. Riesco appena a toccare colla mano l'alta croce di legno che si leva, modesto monumento di semplicità e di fede, diritta in mezzo alla sommità del monte, allorché il sole luminoso s'affaccia sulla volta limpida ed azzurra del cielo e spande intorno i suoi raggi d'oro, apportatori di beatitudine e di vita. Per me quel primo bacio di sole è come una calda benedizione dell'Eterno; non so perché, mi si riempie l'anima di una soave esultanza, il cuore mi sobalza forte nel petto. Stando ai piedi della modesta croce di legno, in alto, molto in alto, ammirato nella contemplazione dell'incantevole panorama che mi circonda, io sento piovermi sul capo, benefica rugiada, un'onda purissima di beatitudine, che eleva, che nobilita e sublima. Più splendido e magnifico spettacolo non si offrì mai al mio sguardo; né provai, altra volta, quell'ammirazione per la bellezza del creato, quella pace, quella serenità della solitudine, quell'incantamento che ora mi hanno conquiso e inebriato. Non mai, come ora, io sentii di essere felice. Vedo ai piedi di questo monte maestoso, Capracotta, la colta e gentile Capracotta, distesa placidamente fra il verde cupo dei boschi rigogliosi, fra il verde chiaro delle vaste praterie, lieta in mezzo al trionfo della luce del sole. Qui non giunge da essa alcun rumore di carri, non grida umane, non schiamazzi di bimbi, non vocio di donne, non fragore di fucina: essa pare una bella donna addormentata in mezzo allo splendore di profumata stanza, e sorridente, nel sogno, ad una celeste visione. Quanta calma, quanta quiete, quanta pace in quelle fitte boscaglie, lontane lontane, in quei monti elevatissimi, in quelle valli popolate di casette bianche, in quei pendii verdeggianti, disseminati di buoi e di pecore, in quelle immense e gioconde praterie, che fanno, intorno alla piacente cittadina, una smagliante e sublime cornice! È un quadro veramente grandioso, splendidissimo! È uno di quei quadri che solo dalle alte vette delle Alpi è dato di ammirare a chi va in cerca della salute e della felicità...
Oh, mi fosse dato di erigere qui, su questa vetta, una modestissima casetta e passarvi il resto di mia vita, lontano dagli uomini, ma più vicino a Dio, senz'affanni, senza amarezze e senza dolori! O, almeno, di ascendere ogni giorno questo monte incantevole, nelle ore di travaglio, nelle ore di sconforto, per venire a chiedere a questa semplice e modesta croce di legno, segno di fede, di amore, di pace, la salute dello spirito, la beatitudine dell'anima, col pensiero a Dio e alle persone amate, e lo sguardo perduto, lontano lontano, nella immensa calma di tutte le cose create...
Miosotide
Fonte: Miosotide, Fiori e spine, in «L'Alba», I:38, Isernia, 29 settembre 1901.