La storia recente di Capracotta è stata irrimediabilmente segnata dai tragici eventi della Seconda guerra mondiale. La prima camionetta nazista entrò a Capracotta il 9 settembre 1943, durante i festeggiamenti della Madonna di Loreto, che tornarono solenni soltanto cinque anni dopo. L'ultimo autoblindo alleato lasciò Capracotta il 22 maggio 1944.
In quegli otto mesi il nostro paese conobbe tutte le facce immonde che la guerra può assumere. Capracotta fu infatti occupata dai nazisti che fuggivano da Isernia, le nostre famiglie vennero razziate dei beni utili al sostentamento della soldataglia, agli uomini venne data la caccia per diventare forza lavoro. Quando gli eventi cominciarono a precipitare Capracotta rientrò nel gruppo di paesi da radere al suolo, al fine di creare una vasta no man's land al di qua e al di là della linea Gustav. Dopo aver ammazzato, con un processo sommario, due contadini che davano rifugio ad alcuni soldati neozelandesi, Capracotta fu quindi minata e in buona parte incendiata. L'80% degli edifici subì danni, tanto che il borgo più antico e malconcio, la Terra Vecchia, smise di esistere. Dopo pochi giorni Capracotta fu nuovamente occupata dagli Alleati, primi fra tutti i soldati canadesi, poi gli anglo-americani e i polacchi. Il paese, diventato centro operativo del comando alleato, venne evacuato, dando il via a una diaspora che ricorda, su scala ridotta, quella ebraica. Nei dintorni nessun campanile aiutò i capracottesi se non quelli dell'assolata Puglia, a cui restiamo eternamente legati per vincolo di sangue e di cuore.
Quando, nella primavera del '44, i primi capracottesi poterono tornare in paese, ai loro occhi apparve un paese massacrato fatto di neve e muri crollati, di rovine fumanti e portoni divelti. Ma chi prima arrivò meglio alloggiò: accanto ai sacrifici della buona gente contadina si registrarono casi di sciacallaggio, com'è facile immaginare in casi simili. Chi poteva si ricostruì la casa con le proprie forze e fisiche ed economiche, chi aveva "la scuola" riuscì a ottenere qualche indennizzo dal genio civile, qualcuno più furbo allargò la propria proprietà a scapito di un vicino non ancora tornato dalla Puglia oppure, chissà, morto da qualche parte lontano da Capracotta. Il 1944, insomma, fu l'anno zero: tra bestemmie e preghiere Capracotta fu costretta a rinascere.
Quando qualcuno ci chiama «zingari» proviamo un moto d'orgoglio. Come gli zingari, anche i capracottesi sanno che non serve a nulla lasciar tracce su questa terra: sic transit gloria mundi. Eppure - lo ricordino i detrattori - noi la guerra l'abbiamo fatta per davvero.
Quel periodo buio - che ormai in pochi ricordano sulla propria pelle - ha provocato ferite profonde nella gente di Capracotta, ferite che oggi possiamo desumere dalle cicatrici presenti nell'urbanistica delle strade, nella residenza anagrafica degli emigrati, nella lapide ai fratelli Rodolfo e Gasperino Fiadino, nel casotto di Nunna Rosa (che andrebbe eretto a monumento regionale). Ma c'è anche un altro modo per studiare quelle cicatrici, attraverso le suppellettili lasciate dai militari dell'una e dell'altra parte.
Nella foto in alto potete infatti ammirare la cassetta portautensili che Filomena Sozio tiene di fronte la sua abitazione: si tratta di una custodia raffazzonata costruita con le assi di una precedente cassetta dell'esercito statunitense su cui sono tuttora impresse delle scritte gialle: «careful [...] safety [...] to each fuze box to remain in horizontal position and under no circumstances should be walked for ease of movement». È allora facile capire che in origine quella cassetta contenesse una dotazione di spolette, ossia i congegni che servono per provocare l'esplosione dei proiettili d'artiglieria.
Nella seconda fotografia potete invece vedere una preziosa testimonianza dell'occupazione tedesca. Pasquale Monaco racconta infatti che i nazisti avevano trasformato la casa del suo bisnonno in un deposito alimentare e che, con l'arrivo degli Alleati, furono costretti ad abbandonare l'edificio e a farlo saltare in aria. Quelle posate marchiate dalla svastica rammentano l'infame pasto che un ufficiale del Reich consumò in una casa di Capracotta.
Speriamo almeno che gli sia andato di traverso.
Francesco Mendozzi