A questo punto m'avvedo d'esser pervenuto al termine del già lungo scrivere sulle memorie del passato e di dover porvi fine. Ma non riuscirà forse superfluo aggiungere qualche osservazione relativa ai tempi nei quali son vissuto, alle qualità intellettive ed all'indole della nostra gente e mi lusingo che i miei concittadini non si dispiaceranno di quel che andrò esponendo ancorché severo, né qualcuno vorrà lamentarsi di qualche omissione, di qualche errore, certo inevitabile.
Parmi che valga bene premettere quel che delle nostre popolazioni in genere scrisse il già menzionato cronista Paolo Mattia Doria nel "Regno di Napoli descritto nel 1713": «Gli abbruzzesi e i Molisani, nati in clima freddo ed aria sottile, han temperamento chiaro e sereno. Abili negli atti di valore e di coraggio, sinceri, fedeli, leali; non pazienti alle fatiche; capaci agli studii per apprendere ogni cosa, quantunque non inventori; insomma sufficientemente buoni, ma non ottimi per gli studii». Lo stesso biografo dei nostri "Uomini illustri del Molise", il buono e compianto Pasquale Albino, apertamente annotava nella Prefazione della sua raccolta: «Di rado, o forse giammai, non s'incontrerà una mente che si levi ad un alto e fecondo concetto speculativo; che si renda iniziatrice di un'impresa arditamente meravigliosa; ma ben sovente riscontriamo ingegni ricchi di peregrine cognizioni; animi dell'apostolato della giustizia e della civiltà, devoti fino al martirio».
Infatti Capracotta non ha dato inventori di sorta, non personalità celebrate per alte o ardite imprese, non audaci esploratori. Neppure alle arti ha dato notevoli contributi, salvo la musicale nella quale si segnalarono Claudio Conti, ricordato dal Florimo nella Storia dei Musicisti ed Alfonso Falconi noto come compositore prevalentemente in Germania. Ma pittori, scultori, architetti, artefici in grandi o minuti lavori non ne son venuti ch'io sappia. Neppure Talia ha avuto mai apprezzabili seguaci, e ancor meno Melpomene e Polinnia. Neanche Tersicore!
Invece buoni cultori di studii filosofici, letterari, matematici, di medicina, di scienze naturali, e sapratutto giuridiche non han fatto difetto. Ho già menzionato gli antichi Carfagna, Pizzella, Baccari, i Canonici Di Ciò, Melocchi: ma nei tempi a noi più accosti dettero prova di sapienza e d'integrità non comune nelle discipline giuridiche non solo i nominati Stanislao e Nicola Falconi ma i magistrati Giovan Grisostomo Di Ciò, Gaetano Falconi, Zaccaria Conti, Vincenzo Falconi; e più ancora Tommaso Mosca elevato anche alla reggenza dello Stato. Michele Giuliano assunto all'alta dignità d'inviato alla Conferenza per la pace a Parigi, Giuseppe Di Ciò nel Ministero della Giustizia; ultimo Vincenzo Campanelli strappato da fato inesorabile, appena nominato giudice a Roma nel 1926.
Nel fòro Emanuele Pettinicchio a Trani, Giambattista Campanelli a S. Mana Capua Vetere tennero alto il prestigio della loro nobile professione ed attualmente avvocati bene esercenti sono gli Erariali Adelchi Falconi a Roma, Ruggiero Falconi a Bari e liberi professionisti a Roma Pasquale Mosca, Alfredo Sozio, Sebastiano Vizzoca ora nella Confederazione delle Industrie, Sebastiano Falconi nelle Dogane. A Napoli Giuseppe Antenucci anche nelle Dogane, Guglielmo Conti, già Direttore in quella città della grande azienda commerciale italo-brasiliana Matarazzo. Nell'esercito Nestore Conti che nella grande guerra, gettò la toga per la spada. Nella carriera amministrativa Pietro Conti fu a reggere svariate Prefetture importanti, suo fratello Gregorio è l'attuale nostro benveduto Podestà.
Nelle scienze naturali, e sempre fra diplomati, si sono altamente segnalati Giuseppe Di Tella che da gran tempo è Professore nell'Istituto superiore forestale di Firenze; Pasquale Carnevale chimico professionista che ne spezzò il pane ai giovinetti figliuoli del Duca D'Aosta (ora a Ventimiglia), ambo autori d'importanti studi del rispettivo ramo dello scibile; Roberto Conti che ha trasformato in podere modello un proprio fondo in Puglia; Gennaro Carnevale, chimico studioso della sua scienza e della sua storia; e provetti nella chimica farmauceutica sono Americo Angelaccio trasferitosi dall'Argentina a Bologna, Alfredo Conti, Filiberto Castiglione in paese, Corradino Terreri a Iesi.
Nel ramo medico chirurgo ricorderò Luciano Conti che fu apprezzatissimo, condotto in varie cittadine toscane e tornò nostro ufficiale sanitario. Suo figlio Mario, restò, durante la guerra, nella Direzione dell'Ospedale Militare di Chieti; ora con l'Istituto delle Assicurazioni a Bari. Dello stesso ramo familiare Gaetano Conti per gran tempo fu a capo dell'Istituto siero-vaccinogeno di Asmara, ed avrà fra poco il grado di colonnello in Roma. Giovanni Conti, quantunque abbia messo in pratica l'"impara l'arte e mettila da parte" riscuote fiducia dei clienti che, pure in Roma, sappiano scovarlo fra uno scelto pezzo di musica ed una filosofica partita di tresette. Claudio Conti è il sanitario principale in paese.
Alberto Campanelli, nato in S. Maria, medico in guerra nella marina militare; ferito pericolosamente all'addome nella impresa dei Dardanelli, è salito al grado di medico primario in quella città. Diego Di Ciò esercente in S. Pietro Avellana è accreditatissimo in tutti i nostri dintorni. Francesco Di Tanna, raggiunto il grado di Colonnello veterinario si gode il meritato riposo a Viareggio.
In matematica Nino Campanelli in S. Maria come il fratello Alberto, trincia calcoli astrusi e ne dà insegnamenti ai giovani del Liceo e d'istituti di quella città. Ingegneri in efficienza sono Alfonso Pollice nell'Abruzzo chietino, Vincenzo Castiglione, Agostino Conti, Alfredo Di Ciò in Roma.
Nel campo delle industrie, grandiosa ed attiva si mostra presso la Stazione ferroviaria S. Pietro-Capracotta la fornace da laterizi, col vicino stabilimento per la lavorazione del legno, della Società Industriale Alto Molise (Siam) sorta per iniziativa di Agostino Santilli, dottore in agraria, col contributo dei suoi fratelli, dei fratelli Ianiro ed altri, tutti capracottesi. Il dott. Agostino è autore di un Manuale di Silvicoltura ed un altro d'Agricoltura editi dalla casa Hoepli e Casanova e fu il promotore della rotabile litoranea adriatica dal Fortore al Sangro che ora si sta per completare.
Nell'Argentina sono attivi industriali capracottesi. Principale a Buenos Aires quello di costruzione di macchine industriali, pastifici, molini ecc. di Torquato Di Tella, germano del Prof. Giuseppe anzi menzionato.
Come partecipe dell'industria e dell'arte devo far menzione di Ciro Giuliano, il quale con l'indefessa ed accorta precisione del lavoro, con l'amabile tratto, seppe formarsi ancor giovanissimo la maggiore e più aristocratica sartoria in Roma. Alle sue mani, al suo gusto si sottomettono fiduciosi i più eleganti viveurs, rappresentanti delle nazioni stranieri, e personaggi di Corte e di Case regali pei migliori vestiti. Dame e Damigelle accorrono a lui vogliose di far risaltare le grazie delle loro forme corporee nelle movenze degli esercizi ginnastici o sportivi, nello stare a cavallo alla caccia o al galoppatoio di Villa Borghese.
Il clima rigido di Capracotta, la lunga permanenza della neve con la conseguente improduttività agraria, il ristretto ambiente paesano, costringono i nativi ad emigrare. L'emigrazione invernale dei lavoratori manuali, dei pastori è abituale e antichissima. Ma coloro che raggiungono una professione liberale, perizia in mestieri o coloro che non trovano stabile occupazione, sono necessariamente indotti ad allontanarsi definitivamente, come emerge dai cenni innanzi fatti. Capracottesi ed oriundi capracottesi sono disseminati in innumerevoli comuni specie del Mezzogiorno; ciò che fece dire a un bello spirito: «Quando Colombo scopri l'America vi trovò un capracottese». Oggidì ve ne sono moltissimi.
Relativamente all'indole del nostro popolo posso rilevare con soddisfazione che esso non è stato mai facile ad accalorarsi troppo anche negli eventi più clamorosi politici e sociali. Cospiratori, settari accaniti, propagandisti arrabbiati non ne sono usciti da noi. Certi osanna ai nuovi destini, alla libertà, al progresso; certi proclami ampollosi, certe mostre di miraggi in sociali mutamenti, sono stati accolti per lo più con incredulità o indifferenza. Anche l'entusiasmo che invade le folle per certi uomini di grido e per le loro gesta è stata ognora assai tepida. Insieme il nostro popolo non ha avuto mai esponenti di efferati o nefandi delitti. Il parricidio, l'assassinio per rapina, o per lunga o brutale premeditazione, i furti rilevanti per scasso, l'associazione a delinquere fra compaesani, lo stupro di fanciulle, l'incesto, e tutte insomma «quelle colpe che non han perdono» come dice l'Aleardi, sono restate sempre, e senza eccezione, sconosciute.
Lo stesso brigantaggio non ebbe da noi feroci adepti, tanto che nessuno dei pochissimi che si dettero alla macchia potette subire condanna a grave pena: quei pochi che affrontarono quella vita perigliosa e triste lo fecero per sfuggire a minacce d'altri procedimenti penali, per disagi familiari, per sfuggire al servizio militare, alla miseria.
La reazione del 1860, apparsa qual nube minacciosa di vasto temporale tragico, manifestatosi altrove ferocemente, finì qui dopo tre o quattro giorni in maniera alquanto burlesca; con la proclamazione cioè di fraterna pace fra reazionarii e loro perseguitati.
Veramente a chetare i forsennati reazionarii valse assai l'interposizione di Mons. Giandomenico Falconi, Vescovo di Acquaviva ed Altamura che trovavasi in paese e che quì morì poco appresso.
Di quel moto reazionario stese una memoria Oreste Conti fu Giulio nel 1911, stampata a Napoli dal Pierro. Quantunque il compilatore fosse incorso in varii strani errori, la sua narrazione mi dispensa dal ripeterne i particolari. Aggiungo solo un mio fanciullesco ricordo che cioè il 4 Ottobre (compivo quel giorno 6 anni), una giornata greve, plumbea, la folla dei cafoni, sollevatisi contro i galantuomini da cui credevansi oppressi, invasero la nostra casa, rovistandone ogni angolo ed asportandone ogni arma; ma tutto e tutti rispettando; ed il capo degli insorti Calzettone (Pasquale Di Janni) dai cerulei occhi fiammanti, borbottare fra i denti minaccioso alle povere donne di casa: «Bolle il sangue, bolle la terra!»; poi, dopo un po', entrare il vicino di casa farmacista Ettore Conti con un'ampia ferita al collo presso la nuca, ed una mia zia Carminia Corvinelli medicargli il micidiale taglio di roncola.
Le donne?... Nel complesso buone madri di famiglia, solerti massaie, fide spose, affettuose compagne. Non prive però di tutti i difetti delle donne, aggravati da certe speciali fisime di abitudini da far accapponare la pelle.
Delle loro fattezze fisiche s'incontra lode in più di un libro. Il Galanti, per esempio, nella "Descrizione dello stato antico e attuale del Contado di Molise" del 1781 le afferma belle: lo ha ripetuto il Sig. Masciotta nel 1° Volume del "Molise". Edmondo De Amicis nell'Oceano ricorda «la bella contadina di Capracotta con la sua faccia di Madonna (lavata male)», che con lui navigava verso l'Argentina su Galileo Galilei.
Io mi permetto di credere che l'avvenenza sia da riferire in prevalenza alla svelta regolarità di conformazione del corpo (e certo la corpulenza, le deformità sono abbastanza infrequenti), alla espressione viva dello sguardo, della fisonomia, anziché, a quella leggiadria di lineamenti e di profili che attrae nelle donne dell'alta valle del Biferno, dell'Aquilano, della Ciociaria.
Ma tanto per le donne, quanto per gli uomini, a nessun paese si addice meglio la formula di P. M. Daria «non pazienti alle fatiche».
Perciò le donne sono assai mediocri nei lavori del loro sesso manca loro quell'accorgimento, ad esempio, nell'arte del ricamo e dei merletti delle loro compagne di Pescocostanzo, d'Isernia; nel taglio della vestimenta, nel cucire, nell'arte sopraffina della cucina. Scarso è il sentimento dell'emulazione.
Degli uomini pochissimi si dedicano ad arti e mestieri che portin seco cure lunghe e minute: intagliatori, ad esempio, orologiai, incisori, gioiellieri, disegnatori. Date ad un capracottese la cavezza d'un cavallo, l'accetta, l'aratro o la zappa e sarà contento.
Ed un'altra manchevolezza mi pare di scorgere nel comune carattere popolare, la scarsa virtù della subordinazione; per cui vedo riuscir difficile o di poca durata ogni forma di associazione anche in opere di comune interesse, di comune vantaggio, non che la restia osservanza dei patti. Ciascuno crede di poter fare da sé, o di poter guidare gli altri e così con scarsi risultati.
Addentrandomi nelle ricerche del passato, non mi è sfuggito qualche pensiero del presente e per l'avvenire del nostro popolo. Quel pensiero mi dice che è vano dissimularsi come le fonti di vita del popolo stesso vadano disseccandosi con la decadenza o crisi della pastorizia, con l'esaurimento del taglio dei vasti boschi, con la sminuita rimunerazione del lavoro, con la difficoltà della emigrazione all'estero.
Quale risorsa sarà dunque possibile? Inutile, o assai problematico, aspettarsela dall'agricoltura. Le industrie meccaniche (la tessile per esempio sarebbe indicata) son diventate troppo numerose, e qualunque di esse richiederebbe ingenti capitali per l'avviamento ad un largo impiego dell'opera locale. L'industria dei trasporti, a cui i capracottesi son bene inclinati presuppone un notevole movimento di ricchezza che ancora non c'è. Quella detta del forestiero (che la villeggiatura estiva e gli esercizi invernali ginnastici sulla neve suggerirebbero) è una industria da poltroni e da parassiti. Non appare dunque all'orizzonte del futuro che l'antica delle greggi e degli armenti. Ma anche su questa bisogna anzitutto considerare che a volerla risollevare alla maniera antica, cioè da soli, sarebbe un fatale errore. Il nuovo andamento delle cose impone al contrario quella forma di conduzione che ci appare la meno gradita, cioè la consociazione.
Al mio pensiero (che potrà essere anche un sogno d'inferma fantasia) si presenta la possibilità, il miraggio anzi d'un intero popolo possessore di bestiame, unito in una o più Masserie armentizie, affidato alle cure di persone le più volenterose e sagaci, intente agli interessi di tutti.
Non importa che la femminuccia apporti una pecora sola ed il possidente mille, il contadino una vacca e il possidente venti; tutto potrebbe esser equamente ripartito.
Prevedo bene le innumerevoli obiezioni, le grandi difficoltà di una prima attuazione di questo concetto, ma giova ben ricordare il motto fatidico del Prof. Giovanni Bovio: «L'utopia dell'oggi, la realtà del domani».
Finito di scrivere 29 Novembre 1929.
Luigi Campanelli
Fonte: L. Campanelli, Il territorio di Capracotta. Note, memorie, spigolature, Tip. Antoniana, Ferentino 1931.