Ma geologicamente io, profano della materia, non posso che additare al lettore una dissertazione che ne scrisse un eminente geologo, il prof. Senofonte Squinabol dell'Università di Torino, pubblicato sulla rivista "La Géographie" nel luglio 1903 (edizione Masson a Parigi), col titolo "Une excursion à Capracotta en Molise". In essa l'autore osserva che le rupi sulle quali si stende l'abitato, formate di strati sovrapposti, sono costituite da conglomerati di grossi elementi calcarei ricchi di frammenti silicei grigiastri, la eui disposizione, in apparenza orizzontale, è in effetto inclinata verso sud-ovest. Afferma che questi strati fan parte di un piegamento di cui una parte della volta superiore emerge in fondo del dirupo, così da arguirne che lo scoscendimento provviene dalla frattura della parte superiore del piegamento, generata dalla erosione del suo rivestimento schisto-marnoso del flysch dal Chondrides intricatus e Chondrides affinis.
Che una simile tipica costituzione e disposizione di strati presentano il Colle delle Cornacchie, il Monte Campo, il Monte S. Nicola, notandosi in tutta l'alta valle del Verrino la frequenza di franamenti e scorrimenti di terreno provocati dalle acque d'infiltrazione, i quali alla loro volta han mutata e confusa la disposizione primitiva di quegli strati.
Esaminando il massiccio del Monte Campo l'autore ne distingue la natura geologica nella parte inferiore e in quella superiore, osservate risalendone lo scoscendimento. Dice la inferiore presenta roccie calcari Dolomitiche di ben 18 metri di spessore con ovuli di silice nera e grigia e con frammenti fossili tra cui dei Briozoari e numerose impronte del Taonurus tenuestriatus, che lasciano rapportarne la formazione al cretaceo superiore: e alla basse affiora una massa di conglomerati argilloso-calcari provenienti dalla erosione degli strati superiori spessa 15 metri. Che la parte superiore si presenta invece composta di un ammasso di breccia calcareo profonda 35 a 40 metri frammista di numerose scaglie di silice, con detriti fossili di Chrysoforis, di Oxyrhina, di Pecten, di Ostrea, di Nummuliti, i quali tutti ne lasciano supporre l'origine all'Eocene inferiore, non più al cretaceo come alla parte inferiore.
La superficie di questo ammasso, declinante a sud-est, ossia il dorso del monte, il franamento della cima di esso ad ovest, lo spaccato delle Fosse di cui ho fatto cenno innanzi, le torsioni svariate degli schisti argillosi entro le pieghe delle roccie sottostanti verso sud, e specialmente quelle elicoidali fra i grés, le marne, gli schisti nell'avvallamento detto Valcona; l'erosione a solchi sul lato meridionale di quest'ultimo, sono oggetto di speciale esame dell'autore, che ne rende attraente la lettura. Curiosa la descrizione del suolo sull'alto del Campo il quale, mentre si presenta fastidioso al cammino delle persone, e pericolosissimo pei grossi quadrupedi per una sequela di sporgenze di duri massi pietrosi, intersecate da solchi e da vuoti disuguali in direzione del declivio, nei quali si rischia di aver serrati i piedi o rompersi le gambe, tutto questo, dice l'autore, costituisce un fenomeno bello e interessante. Tale «surface, herrissée de pointes aigüies de fragmentes de silex présente aussi dans toute sa beauté le phénoméne du Lapiaz ou Kerren felder. Ces Lapiaz ont des sillons paralléle dont la profondeur at teint parfois 2 à 3 metres e montrent, par la forme de leur bords, qu'ils sont dus a l'èlargissment et à la confluence de plusieurs trous en série linéaire». A questa superficie spugnosa ed assorbente l'autore attribuisce l'imbibizione delle acque di pioggia e di neve che alimentano le sorgenti nel basso e nelle estreme falde del monte.
Altri fatti geologici studiati dall'autore sono: la formazione di uno stagno a sud dell'abitato a 1.197 m. d'altitudine nella valle fra il Monte Capraro ed il bosco di Vallesorda detto Lago di Mingaccio; formazione avvenuta intorno al 1815 a cui seguì un lento disseccamento cosicché nel 1858 il laghetto era scomparso per formarsi di nuovo nel 1868, e che ora per effetto del moltiplicarsi delle erbe palustri intorno alle rive tra cui copiosi Pomatogeton, va lentamente restringendosi: poi la cosiddetta Grotta di S. Nicola, nella contrada Macchia, ossia un lungo crepaccio del monte omonimo ricoperto da macigni serrati nel crepaccio stesso provenienti dalla frattura superiore di esso e facienti da volta alla grotta: infine le sorgenti minerali della Zolfanara nel letto del torrente Molinaro ad ovest dell'abitato a 1.000 m. d'altitudine le quali egli trovò piuttosto abbondanti, 4.000 litri al giorno contenenti minerali solforosi magnesiaci e ferruginosi.
A proposito della composizione di quest'acqua trovo registrata notizia che fu analizzata dal prof. Carusi in principio del seco lo XIX il quale vi rinvenne: gas acido carbonico; gas idro-solforico sottocarbonato di ferro; muriato di calce; solfato di magnesia, però senza indicazione delle relative quantità.
Un altro cenno geologico del nostro territorio trovasi in Del Re "Descrizione dei dominii di qua dal faro": «Una parte dei monti a misura che si avvicina a Capracotta S. Pietro, Vastogirardi, Agnone da a divedere depositi calcarei e frattura scagliosa sparsi di fogliette micacee, di particelle quarzose e di globetti selciosi. Fra i suoi fendimenti al nord di Capracotta si osservano pezzi di pietra nera compatta e pesante impregnata di ossido bruno di manganese».
Posso aggiungere che non si ha memoria di devastazioni cagionate da tremuoti nell'ambito del territorio di Capracotta, mentre il limitrofo di S. Pietro spesso ne ha subite di assai violente, per cui, dopo quello del 1913, fu dichiarata zona terremotata.
Luigi Campanelli
Fonte: L. Campanelli, Il territorio di Capracotta. Note, memorie, spigolature, Tip. Antoniana, Ferentino 1931.