top of page

Il territorio di Capracotta: periodo normanno



Il territoro di Capracotta nel Giustizierato Abruzzese

Sul finire del secolo XI, e propriamente in febbraio del 1083 un figlio o nipote del precedente donatore Borrello rinnovò la donazione suddetta con un secondo rogito steso «in Sangrum» dove abitava (forse Castel di Sangro) per consenso e volontà espressa dai genitori, e per l'eterno pretesto della redenzione delle anime di tutti e tre. Il donatore però, col nome e con la firma di Vulterius, dette prova di nuova munificenza, accrescendo la dotazione dei monaci di S. Pietro con altre cinquanta modiole (moggia) di terreno nei dintorni di Vallesorda e di un secondo mulino posto al capo di Verrino, con le scoscese terre laterali.

L'atto stesso trovasi trascritto integralmente nella storia del Gattola, di cui inserisco la parte testuale più notevole: «In Dei nomine anni sunt millesimo obtuagesimo tertium et die mensis febbruari per indictione septima [...] Ideo me Vulterius filius quidem Borello, qui modo est abitator in territorium Berlentarum in castro de Anglone bona et spontanea et cum bona voluntate et per consensum suprascripti Borrelli genitore meum pro timore Domini et redentione et absoluzione animæ meæ et de genitore et de genitrice meæ [...] dono et trado et iudico et concedo et offero in issa ecclesia Beati Sancti Nicolai, qui est sita in territorio de Anglono, ubi capite de Berrino bocatur, et ad bos Johannes, sacerdos et monacho qui es remita ad populum, qui modo es prior hoc est in primis una ecclesia qua est sita in honore Santi Petri, et quinquaginta modiola de terra et amplius et unum mulinum cum ripibus et cum pertinentiis et cum ipse rebus infra fine de ipsum territorium de Anglone et cum omnia quantum inter se vel supra se habent».

L'esistenza di questo secondo molino al pari dell'altro indicato nell'antecedente donazione offre l'indizio certo di vicina popolazione. Ma di questo si ha più chiara conferma nella espressione «tu qui es remita ad populum, qui es prior» che pare debba interpretarsi: "tu che sei l'eremita a capo di questo popolo", popolo si capisce circostante a Capracotta, come poi si desume dalle contestazioni che vennero dopo tra i monaci di S. Pietro ed i nuovi feudatari, moltiplicatisi con lo stendersi dei Normanni nella bassa Italia. Perché è bene osservare che, fin sotto i primi Carolingi, i Duci avevano assunto a programma spiccio il grido amoroso della civetta: "Tutto mio, tutto mio". È chiaro che ai nuovi capi militari di Roberto Guiscardo e di Re Ruggiero bisognava dare un posticino al sole, ed in conseguenza furono, per far loro posto, spezzettate le preesistenti vaste contee, formandone contee minori. Somma parte di quei grossi dominatori di prima dovette piegarsi a mutar bandiera, come al solito, pur di restare nella propria sede al comando delle contee minorate. Il compito di tutti costoro continuò ad essere quello di spillare quanto loro occorreva con balzelli o col trarre militi per le guerresche faziose imprese, tolti alla povera gente da loro assoggettata. Quanto ai bisogni di questa gente la cura ne rimaneva devoluta come sempre a


...quel buon Dio che alla pecora tosata

volge in Aprile il mese di Gennaio;

e secondo il mantel tarpa al rovaio

l'ala gelata...


Però nella loro infinita misericordia quei signori lasciarono che i poveri inchiodati nelle loro terre raccogliessero legna secche entro i boschi e pascessero il bestiame nei pascoli e nei campi, ma soltanto pel motivo «ne cives ad arma veniant, nec vitam inermem ducant». E così, siamo d'accordo, nacquero gli usi civici.

Così avvenne che anche la vasta contea dei Borrello di Agnone fu suddivisa in quei tempi: ed, atteso che nel nostro territorio i diversi aggruppamenti di popolazione avevan dato luogo alla formazione di vari Casali, fra cui più popolosi si erano andati formando quelli di Macchia, di Vallesorda e di Capracotta, fu presto affibiato a ciascuno di questi un conte o barone o feudatario che dir si voglia, nessuno dei quali però né allora, a quanto pare, né mai concesse l'onore di venire a dividere la inclemenza del cielo, la rigidezza del clima e gli stenti degli abitanti, per cui può dirsi che Capracotta non fu mai propriamente, o almeno interamente feudale.

Qualcuno pertanto di quei Signori nostri dovette cominciare forse ad interessarsi un po' soverchio delle percezioni dei monaci di S. Pietro in questo territorio, perché, nel febbraio del 1179, fu intimato: «Domini Gualterio Buddon di Ragone» Signore di Vallesorda; a «Rogerio Mayaer de Palena et Odoni de Pectorano» di comparire innanzi alla Magna Curia, convocata in Isernia da Riccardo de Molisio (che il Gattola giustamente annota essere Riccardo Mandra) «comes et domni regis familiaris» e con l'assistenza di «Raynaldus Dei Gratia Iserniensis episcopus et Robertus Boianensis episcopus», perché ciascuno di quelli «ab omni sæculari conditione liberasse et quitasse ecclesiam S. Nicolai in Vallesurda ed ecclesiam sancti Laurenti in Anglone», e costoro dovettero obbligarcisi.

Nuova contestazione sorse in seguito «inter fratrem Roffridum venerabile Præpositum S. Petri de Avellana et dominos de Capracotta de tenimentis et finaitis casalium Vallisurdæ, scilicet et Revellionis, Tancredus videlicet Raynaldus nepos eius, ipsi quantam peciem terræ de Vallesurdæ quam professi sunt se habere in pignore pro quinque solidis».

I monaci di Monte Cassino ricorsero all'autorità competente regia o giudiziaria, la quale mandò a derimere la controversia Giovanni Magistro giudice di Capua, il quale ottenne la concordia delle parti, e con scrittura della quattordicesima indizione (non è detto altro) dell'anno 1181 fu stabilito che i domini Tancredi e Raynaldo rendessero ai monaci liberamente le terre usurpate al confine dei casali di Vallesorda e di Revellione ed i monaci fossero obbligati a restituire i cinque soldi. Non mi è riuscito di sapere a quanto potessero equivalere quei quinque solidis per cui quei buoni Signori s'avevano costituito un pegno anticretico sulle terre dei monaci. In quell'atto intervennero quali testimoni con giuramento un monaco pei confratelli «et tres alii legales homines de Vallesurda» che concordemente attestarono come quei signori avevano usurpato quelle terre da quarantasei anni. C'erano dunque tre uomini legali in Capracotta? Credo fossero invece testimoni legati da giuramento.

Pochi anni dopo, cioè nel 1189, lo stesso abate Roffrido, preposto al Monastero di S. Pietro, per le loro vestimenta: «Concedimus vobis in perpetuum redditis annuos de herbatico, glandatico et data hominum Vallessurdæ casalis S. Nicolai ecclesiæ quæ cella est ipsius Monasterii S. Petri, ut singulis annis recipiatis et habeatis eos pro supplendo indumentorum vestrorum defectu».

Insomma, purché andassero vestiti i monaci, poco importava che non avessero di che coprirsi i fanciulli dei poveri montanari. E la lode ne andò al padre Roffrido «ex mox edenda vero concessione diagnoscitur quam ardens fuerit erga Monachos S. Petri Roffridi abatis Cassinensis studium cum pro illorum vestibus fructus Vallissurde assignaverit».

Se non che il venerabile Padre Roffrido col suo zelo, ed i monaci di S. Pietro col desiderio delle nuove sempre e calde tonache, avevan fatto non tanto bene il conto, perché i nostri antenati Capracottesi cominciarono ad opporre qualche difficoltà al pronostico dei frati (sempre insubordinati i nostri compaesani): ne venne fuori una nuova e più larga contesa, che poi fu sedata nel 1294, come faremo parola nel periodo seguente.

Anche questi tre ultimi documenti, da me in parte citati, trovansi integralmente trascritti nella Storia del Gattola.

Che le terre sottoposte alla Signoria dei Borrello di Agnone fossero andate suddivise nel modo come poco innanzi ho fatto cenno, e che essi, coi propri suffeudatari, fossero tenuti a fornire di milizie il Conte al comando del quale erano soggetti, trovasi documentazione nel "Catalogus Baronum Neapolitano in regno versantium, qui sub auspiciis Guglielmi Cognomento Boni ad terram sanctam sibi vindicandam susceperunt".

Di questo notevolissimo documento aveva fatto cenno il Ciarlanti come tema di uno dei discorsi del Duca Ferrante Della Guardia; messo in luce dal Del Re nell'opera "Cronisti e scrittori sincroni Napoletani". Esso fu da vari critici storiografi variamente discusso fino a contestarne lo scopo della crociata bandita da Gregorio ottavo. Per noi è interessante trarne conferma della gerarchia stabilita dai feudatari e più di trovare in esso un ricordo del nostro territorio, dei signorotti alla cui mercè eran posti i nostri lontani progenitori. La sua data attribuita al 1189 non si ritiene certa.

A questo punto, per miglior chiarimento, stimo opportuno rammemorare che il nuovo Reame di Napoli, fondato dai Normanni, era stato ripartito da Re Ruggiero in dieci Giustizierati, in ognuno dei quali un vario numero di Contee maggiori racchiudevano antiche Contee o Gastaldati minori; ed infine queste suddivise in Signorie inferiori. Tale fu la nuova e moltiplicata gerarchia feudale ordinata da estranee genti e così funesta ai nostri popoli per la sempre crescente tirannide dei feudatari stessi, tirannide dipinta a vivi colori dal genio di Alessandro Manzoni, illustrata fra gli altri dal Winspeare nella "Storia degli abusi feudali".

Della maggiore Contea nella nostra regione (ora Provincia) fu messo a capo (o già vi si trovava forse) quell'Ugo De Molisio o De Molisiis, dal cui cognome sì afferma sia rimasto il segno parlante alla regione stessa col nome di Comitatus Molisii, Contado di Molise. Agli ordini di lui erano soggetti i feudatari degli antichi e suddivisi Gastaldati, fra cui quello di Agnone; nel quale era incluso il territorio di Capracotta. Conviene avvertire che poco appresso, il Contado di Molise fu unito all'Abruzzo per formare il terzo Giustizierato detto perciò Justitieratus Aprutii et Comitatus Molisii, come attesta il Del Re nell'opera citata, capitale Sulmona se non erro. Dagli Svevi, posteriormente, fu staccata dagli Abruzzi ed aggregata al Giustizierato di Terra di Lavoro come emerge dai documenti posteriori.

Trascrivo ora quel che è segnato nel Catalogo dei Baroni Napoletani compresi nella circoscrizione ovvero Contea di Agnone, alla cui signoria trovavasi capo Guglielmo Borrello: «Guillelmus de Anglono tenet de Comite Hugono Anglonem, Castellum Judicis et Montemfortem, quod est feudum octo militum, et cum augmento obtulit milites sedecim. Isti tenent de prædicto Guillelmo De Anglono: Tancredus de Civitella et frater ejus tenent de eodem Guillelmo Civitellam quod est feudum duorum militum, et cum augmento obtulit milites quatuor et servientes quatuor. Joczolinus de Caccabone tenet Caccabonem quod est feudum duorum militum et cum augmento obtulit milites quatuor et servientes quatuor. Robertus De Maccla et frater ejus tenent Macclam, quod est feudum unius militis. Gentilis Senebaldus tenet Castellum novum [Castelluccio in Verrino?] quod est, ut dixit, feudum unius militis et cum augmento obtulit milites duos et servientes duos. Gualterius Baronus tenet Castellum Larronem [Castelbarone] quod est ut dixit, feudum unius militis et cum agumenti obtulit milites duos et servientes duos. Robertus de Guasto tenet Guastum quod est ut dixit feudum unius militis et cum augmento obtulit milites duos. Gualterius Bodanus [o Budonus] tenet Capram cottam, quo est feudum unius militis et cum augmento obtulit milites duos et servientes duos. Una sunt de propriis feudis servitii prædicti Guillelmi de Anglono milites octo et cum augmento miltes sedecim. Una tam demaniis quam servitiis milites trigintaduo et servientes trigintaduo».

In questo elenco son designati dunque ben sette suffeudi nella circoscrizione di Agnone. Fra questi Capracotta sotto la tutela ognora di Gualtieri Budon o Bodano o Budone; la Macchia a Roberto, non meglio identificato; e Monteforte con Castel del Giudice allo stesso Guglielmo Borrello, forse per mancanza di concorrenti. Si rileva che la Civitella, Castel Barone, Castelluccio erano pure casali abitati da offrire un certo contingente di leva; ma si argomenta pure quanto scarsa doveva essere in ciascuno la popolazione, per cui s'era dovuto spremere una seconda leva per sopperire alla deficienza dei militi e degli inservienti richiesti da Ugone.

Questi servientes erano gli addetti ai servizi sussidiari, le salmerie cioè, l'assistenza sanitaria, la cura del vettovagliamento, dei cavalli della cucina ecc. Costoro non portavano armi. Militi si consideravano coloro che essendo validi alle armi possedevano un cavallo ovvero erano in grado di acquistarne.

Si argomenta altresì che se veramente quello fu un appello di milizie destinate alla spedizione in Terra Santa per la terza Crociata, sei o sette soldati Capracottesi concorsero «il gran sepolcro a liberar di Cristo» conseguendone null'altro che la gloria di militi ignoti.

Quanto a Gualtieri Budone o Bodano, nonostante la rassomiglianza del cognome e la rima con quello del connazionale condottiero celebrato dal Tasso, e così pure a Guglielmo d'Anglone ed a Roberto De Maccla non vi fu chi li considerasse «di poema degnissimi e di storia» e non se ne parlò più. Però la discendenza dei Borello pare non andasse spenta con lui e sopravvivesse invece in quel Bonifacio e in quel Giordano D'Anglona, legati ai ricordi storici di Federico di Svevia e di Manfredi.


Luigi Campanelli




 

Fonte: L. Campanelli, Il territorio di Capracotta. Note, memorie, spigolature, Tip. Antoniana, Ferentino 1931.

bottom of page