Il territorio di Capracotta all'estremo del Principato Beneventano
La cupida intromissione dei Franchi di Carlomagno nel ducato Beneventano portò come dappertutto la esagerazione ed il tralignamento della costituzione feudale ed ecclesiastica, donde l'inizio degli abusi e delle prepotenze dell'un potere e dell'altro a danno delle popolazioni.
Il governo Franco peraltro dovette ritenere opportuno mantenere la salda gerarchia Longobarda e lasciare i Gastaldi ed i Vescovi nelle loro sedi, ma unicamente per trarne nuovo sangue ed averi per loro tramite.
Ma gli ingordi Duci Franchi venuti con Carlo presto cominciarono ad invadere prepotentemente vasti tratti di territori delle stesse sedi Longobarde, spezzettando i Gastaldati ed appellando Contee le nuove parti, onde essi ne assunsero il titolo di Conte come già in uso dai Goti. Disposero delle terre occupate e dei loro abitatori come res nullius. Dall'altro canto i Duchi ed i Gastaldi non seppero o non potettero opporsi a queste arbitrarie invasioni, ma qui uscirei di carreggiata. Quello fu il motivo probabilmente per cui i Principi Longobardi cercarono di rafforzare la propria sfera di autorità, dividendosi il dominio in questo Sannio settentrionale. Nel 964 Pandolfo e Landolfo lo spartirono, delimitandolo con una linea mediana tracciata sulla direttiva della Longitudine del Matese e attribuendone la parte del versante Tirreno (Isernia) a Landolfo, e l'altra nel versante Adriatico (Boiano, Agnone) a Pandolfo come risulta da una convenzione giacente un tempo nell'archivio dei Canonici, di Isernia pubblicata per la prima volta dal Ciarlanti nel 1644. In quel documento appare indicato la prima volta il nostro territorio in quanto ché proprio la vetta del nostro Monte Capraro costituiva uno dei capisaldi della linea di delimitazione suddetta; l'estremo settentrionale era segnato a Saletto fra Castel del Giudice e S. Angelo del Pesco, incontro al confine delle Diocesi e Comitati di Teate e di Valva, (cioè Chieti e Sulmona) le quali da Carlomagno nell'801 furono tolte, come asserisce il Fatteschi, al duca di Benevento Arigiso o Arechi secondo, ed aggregate all'Impero, perché Arechi non aveva voluto pagare i tributi impostigli; ed allora Arechi prese il titolo di Principe (a dispetto?) e le insegne di sovrano a quanto afferma l'Hirsch nell'opera citata.
Ecco parte del testo della detta divisione riportata anche dall'Ughelli: «De prima parte a vertice de Monte Matese: directe ferre in serra de Collepetroso, usque in Maccle quæ dicunt de Godini. De secunda parte a Maccle quæ dicuntur de Godini usque in fluvio qui dicitur Trinio Majore et deinde in serra de Montecapraro, ubi ficta fuit ex antiquitus columna marmorea quæ finis fuit de dicto Comitato Isernino, et deinde quomodo pergit ipsa serra de iam dicto Montecapraro et pervenit in Monte Rendenaro, et vadit usque in Salectu, ubi similiter ficta fuit columna marmorea qui finis fuit de iam dicto Comitatu. Et abinde quomodo vadit in fluvio Sangro et ascendit directe usque in rivo qui dicitur Merdaro et quomodo mittit ipse rivo in fluvio Volturno».
L'indicazione che le alture del nostro Monte Capraro e di Saletto rimenessero all'estremo confine del Contado d'Isernia, e che in ambo queste estremità trovavansi apposti da' tempi antichi termini lapidei (columnæ mormoreæ) rivela che quella doveva essere stata un tempo (forse all'epoca Romana-Sannitica) la delimitazione delle circoscrizioni di Bovianum Vetus e di Aufidena.
Frattanto in buona parte del versante adriatico innanzi cennato, nel quale era compreso il nostro territorio, si erano intromessi, afferrandone prepotentemente dritto di dominio e di possesso, taluni di quei Conti Borrello (volgarizzazione del cognome francese Borel, la cui «famiglia ingrandì e prevalse famosa nei documenti (scrive Benedetto Croce nella monografia "Montenerodomo") con l'appellativo di Figli di Barello, rapinatori incessanti che avevan messo insieme un vasto dominio tra il Molise e il Chietino, tra il medio Sangro e l'alta valle del Trigno, lasciando un segno parlante della loro Signoria nella terra di Borrello». Costoro andaron intitolandosi dai luoghi principali delle loro Signorie. Uno di essi, Gualtieri, comparve, fregiato del titolo "De Anglone", Signore di Agnone, e costui, o un antecessore suo congiunto, aveva già steso l'arbitrario suo impero sul nostro territorio quale pertinenza subietta di Agnone.
Frattanto si andarono fondando nuovi monasteri. Uno dei promotori di queste fondazioni, S. Domenico da Sora, si prese la briga nel 995 di piantarne uno a S. Pietro Avellana: «Cœnobium S. Petri de Avellana fundavit S. Dominicus abbas Soranus teste Alberico Cardinali monaco in eius vita, quod ab enormi arbore avellanæ quæ iuxta olim consisterat, S. Petri de Avellana nuncupationem accepit. Idque monasterium Oderisius Burellus major, abitator in territorio de Sangro satis liberali muneratione ditavit anno 1026 septima indictione septembris». Così nel Gattola.
Ora il su nominato Gualtieri nel 1040 volle dare anche prova della sua munificenza, donando allo stesso monastero tutta la montagna di Vallesorda con la sua chiesa di S. Nicola e tutto il Monte Capraro col suo Eremo di S. Giovanni Battista, vale a dire offrendo l'agro nostro compreso nel versante settentrionale dei detti due monti fin presso Capracotta e fino giù alle sorgenti del Verrino. L'atto di questa donazione trovasi menzionato nella Storia di Gattola; ma non vi si trova da lui trascritto il testo originale, come egli aveva fatto per le altre donazioni relative alle terre che, al suo tempo (1700 e il 1750), appartenevano alla Badia di Monte Cassino. L'originale invece leggesi trascritto nel "Libro delle Memorie di Capracotta" raccolte dal dottor Nicola Mosca nel 1742 mentre era Cancelliere, cioè Segretario, di questa terra, libro che si conserva nell'archivio Comunale e che spesso avremo occasione di menzionare. Trovo opportuno perciò di pubblicare il testo della donazione suddetta qual'è inserita in detto libro e di cui la copia, primitiva già rilasciata da un archivista del tempo di Monte Cassino, andò dispersa al pari di tanti altri documenti copiati pazientemente nel libro dal benemerito Dott. Mosca, il quale lasciò scritto di averli riposti nel locale sovrastante alla Sagrestia della nostra Chiesa matrice.
Essa copia porta questa intestazione: «Donatio Monasterio S. Petri de Avellana facta anno Domini 1040, a Domino Gualterio Burelli filio Domino terrarum Anglonensium de ecclesia S. Nicolai de Vallesurda cum omnibus juribus ac pertinentiis suis ut hic: folio 14 in Archivio cassinense prope Inventarium».
In ultimo essa copia porta il nome di Franciscus Romanus sacri monasteri cassinensis Archivista. Ed ecco il testo curialesco qual'è: «In Dei nomine omni potentissimi, incarnationis ejusdem MXL indictione tertia concurrenti epacti vero nulla. Madio mense die dominica IIII, idus earundarum Kalendarum Regnante D. Corradus gratia Dei Imperator Augusto, anni imperio eius Deo propitius in Italia Ind. ut supra. cum larga et copiosa pietas omnipotentiis Dei sua gratia largitate suis nobis bonis pluribus affatim repleverit et quod hæc obtinet maxime mortalibus sine diversis curis negotiorum, variisque delictorum erratibus ad magna conscendere impossibile est, et omnia mundana cito pertranseunt cum suis ubique amatoribus, et quia ut dicitur peccata hominum elemosinis et in misericordis pauperum sacrorumque locarum sunt redimenta, visum est mihi Gualterius Burrellus filius qui sum, inspirante superna clementia, dominator omnium Anglonensium pertinentium dono, trado et offero in Ecclesia beati Petri Apostoli, quae est sita in territorio sangretano in loco ubi dicitur Avellanens is, hoc est unam ecclesiam meam, quae habeo in territorio de suprascripto Anglono, quae est sita in Montecapraro, quæ vocatur Sanctum Nicolaum de Vallesurda cum omnibus suis pertinentis et juribus; cum Heremo Domini nostri Jhesu Christi in vertice Montis Caprarii positum et dedicatum est in honore Sancti Johannis Baptistæ, cella dicti Sancti Nicolai subiecta ubi capitu Verrini vocatur. Dicto Monasterio Sancti Petri Avellanensis assignamus ad habendum, tenendum et possidendum in perpetuum cum omnibus juribus petinentiis suis, cum terris sylvis et molendino. Confines de uno latere fons qui vocatur Spongya et vadit per ipsam serram de Monte Gnyponi, et vadit in vertice Montis Caprarii et vadit in ipsa finaita de suprascripto sancto Petro et vadit per finaita de Crapacotta, et descendit in capite Verrini et revertitur in fine priori et cum omnia quantum infra se, vel super se, intus et pertinentiis. Et hoc repromitto et obbligo me ego supradictus Gualterius et meis heredibus. Monasterio Sancti Petri Avellanensis et nobis benedictu sacerdoti et monacho, qui De Planisco vocatur, qui modo es Propositus in supradicto Monasterio et tuis successoribus. Si aliquo tempore ad posse vanam facere præsumerimus vel si nos retollere vel minuere aut in qualibet parte causa remittere præsumerimus per qualibet unum ingenium, vel si nos ab omni homine antistare vel defendere non voluerimus aut non potuerimus, in hoc obligo me et hæredes meos et successores meos ad pœnam de auro mundo munitatis libræ nonigenti, et insuper in ira Dei incurrat et non habeat partem in resurrectione juxtorum, sed cum luda qui Apostolico agmnine separatum est, et cum omnibus crucifixoribus Dei, et maledictione paterna et materna semper maneat super me et cum Dathon et Abyron maneat. Et hanc cartulam et stabilem permaneat usque in sempiternum quam et per rogitum de suprascripto Gualtiero nunc seripsi ego Benedictus ludex et Notarius. Acto in Anglono Indictione suprascripta feliciter. Signum manis Walteriis qui hanc cartam concessionis scribere rogavit. Idest Berelli, Ciborii, Amiconis, Cervonis rogati ad testes».
È in questo fra i più antichi documenti che si incontra per la prima volta il nome di Capracotta; a indicare piuttosto una località limitrofa all'altra formante oggetto della donazione, anziché a denotare un determinato luogo abitato. Certo però da quel documento si trae:
che la denominazione, preesisteva proprio a quella parte di territorio in cui trovasi il nostro paese;
che Gualtieri, arrogandosi il titolo di dominatore di tutte le pertinenze Agnonesi la escludeva dalla donazione;
che una chiesa era in funzione a Vallesorda; ed eremiti dovevano ancora essere alloggiati ivi e sul Monte Capraro;
che alla Spogna era un molendino, ossia molino, circostanze tutte concordi a deporre come il nostro territorio fosse in quelle parti abitato. Ma che maggior numero di gente si fosse raccolta già in Capracotta si desume da documenti dell'epoca posteriore, dei quali per ordine metodico sarà bene far parola in seguito.
Nel documento su riportato trovasi un'altra notevole menzione che cioè un confine trovavasi già stabilito tra l'agro di S. Pietro ed il nostro: è supponibile che anche quelli con le località contermini fossero già egualmente fissati. Vien fatto così di domandarsi: quando precisamente, da chi, e con quali criteri furono apposte le delimitazioni territoriali dei nostri Comuni, delimitazioni che tutto lascia credere siano le stesse quali sono attualmente? Ecco un quesito al quale non mi è stato possibile rinvenire adeguata e documentata risposta; ma che apre l'adito alla supposizione che quelle delimitazioni dovettero essere opera degli stessi primi duci Longobardi man mano che videro accrescersi gli stanziamenti di genti nulle nostre contrade: onde la necessità di provvedere al loro Governo e determinare i confini, dei rispettivi territori.
Bisogna notare che, circa un trentennio dopo di quella donazione, un mutamento fu apportato alla circoscrizione della Diocesi ecclesiastica, dal perché un Oderisio Borrello progenitore o zio del Gualtieri vecchio «dominator in castro de Petre Abbundanti» credette bene di amicarsi la Badia di Monte Cassino, sottoponendole nel 1069 tanto il Monastero di S. Pietro, istituito già con la stessa regola di S. Benedetto, quanto tutte le pertinenze territoriali di questo. Cosl tutto il territorio di S. Pietro e tutta la parte del nostro territorio donato al Monastero di S. Pietro entrarono a far parte della Diocesi di Montecassino, mentre la restante parte rimase inclusa nella Diocesi di Trivento.
Luigi Campanelli
Fonte: L. Campanelli, Il territorio di Capracotta. Note, memorie, spigolature, Tip. Antoniana, Ferentino 1931.