Cade la neve, non verrai stasera. Cade la neve e il mio cuore si è vestito di nero.
Passò più di un anno tra lettere e cartoline. Poi: un giorno d'inverno che dirvi non so... decisi di andarla a trovare.
Si trattava (in realtà lo so) di un inverno molto speciale, quello compreso tra il 1968 e il 1969.
L'autunno dopo quell'estate 1967 era stato l'inizio vero della mia vita politica e il poster di Che Guevara che il settimanale comunista "Vie Nuove" aveva inserito come inserto nella sua edizione del 19 ottobre era affisso nella mia cameretta in attesa di quello di Ho Chi Minh.
Cominciai anch'io a portare la barba e il 1968 mi trovò pronto ma, anche un anno dopo, non ero certamente diventato adulto e indipendente. Il mio proposito di raggiungere Geert non era di facile attuazione perché:
non avevo i soldi per il viaggio;
perché sapevo che non avrei mai avuto il permesso dei miei.
Ad impedirlo non sarebbe stato tanto il fatto di dover attraversare un po' di Europa da solo (l'estate precedente ero stato un mese in Romania e Ungheria in 500 con Prist) su quello avrei forse avuto l'appoggio di mio padre anche contro l'opposizione di mia madre. Ma di andare senza soldi a vivere una settimana a casa di altri... no, questo non me l'avrebbero mai permesso, almeno così pensavo. Non ne ho mai avuto la prova perché mi servii di un sotterfugio che poi non confessai mai.
I miei compagni di classe avevano organizzato per Capodanno un settimana in montagna. Convinsi così i miei a darmi in anticipo il "Buon anno" , mi feci prestare dagli zii scarponi e giacca a vento e, una volta a Bologna, invece di andare a Trento, presi il treno per Bruxelles. Viaggiai tutta la notte in uno scompartimento pieno di caciotte dirette ai parenti che lavoravano in Belgio, assaggiandone di ogni tipo e bevendo, per la prima volta in vita mia, Aglianico del Vulture, in compagnia di lucani e campani. Non ci fu molto da dormire ma certo non dovetti intaccare i pochi soldi rimasti dopo aver pagato il biglietto A/R per comprare da mangiare. Fuori nevicava ininterrottamente.
Quando arrivai alla stazione della capitale belga era mattina piena e i binari erano bianchi. Salutai i miei compagni di viaggio diretti in qualche paese vallone e presi un treno locale per Anversa. Mi sedetti in prima classe senza accorgermene e stranamente il controllore non disse nulla: era passato da poco Natale? Oppure era il mio improbabile abbigliamento da sciatore (stile Sordi a Capracotta) ad averlo intenerito? Arrivai così, comodo comodo, alla stazione di Anversa. Dove da un telefono pubblico chiamai il numero che mi aveva mandato Geert.
La risposta fu pronta ed entusiasta: venivano a prendermi.
La famiglia De Jong però viveva a Retie che non era precisamente vicinissimo ad Anversa.
Così ebbi il tempo di bere un caffè pestilenziale di fumare molte Bastos che si vendevano a pacchetti da 25 e costavano pochissimo. Portavo già con me un ritratto di Mao e un libro Samonà e Savelli, le "Lettere da lontano" di Lenin. Edizioni trozkiste e santini di Mao. Diavolo e acqua santa. Ma chi era il diavolo?
Dopo un'attesa che mi pare durasse un paio d'ore lei irruppe, con tutti gli occhi blu che aveva, nel buffet della stazione.
Anche se c'erano i treni e c'era molta neve il nostro incontro non fu alla Vronskij e Karenina. C'era il babbo lì presente che aveva guidato la R4 nella tormenta e, anche se assente perché impegnato a sciare, lui davvero, in Svizzera, incombeva la presenza di un fidanzato ufficiale: Luc.
Di quelle giornate del capodanno 1968-69 ricordo la casa di Retie con le tavole di legno e il soffitto spiovente, le escursioni sulla neve e i paesaggi alla Brueghel, ma ricordo soprattutto la distanza di Geert attenta a non baciarmi più come aveva fatto in Italia.
Non rimase neanche sempre con me perché aveva scelto recitazione al liceo e doveva fare delle prove. Alla festa di capodanno, in una bella casa di amici, fu ad un passo dal lasciarsi andare tra le mie braccia ma si fermò. Più tardi mi disse che aveva fermamente giurato che non saremmo mai potuto essere altro che amici. Me ne convinsi anch'io, il che dimostra, come capii mio malgrado troppo tardi, che le decisioni hanno spesso ragioni contrarie alla loro ragione.
Quel soggiorno non mi risparmiò altre lezioni alla scuola della borghesia colta. A casa di un ricco mercante di legname, amico di famiglia del padre di Geert, discutemmo a lungo della sua tesi: il Belgio andava meglio ora che non aveva più colonie.
Mentre confutavo questa tesi rivelatasi probabilmente giusta (il capitalismo ha tratto maggior profitto dal controllo delle economie del terzo mondo senza gli oneri coloniali), arrivò un carrello con un fornello fiammeggiante. In breve vennero servite tartine con foie gras e altre prelibatezze. Mi abbuffai, lo confesso. Rimasi così molto sorpreso quando alla fine di questo banchetto fummo invitati a tavola pour le souper.
Venni così a conoscenza degli hors d'oeuvre, la cui esistenza è tutt'ora ignota ad Alfonsine. Procedendo in questo racconto apprenderemo come la cosa ebbe poi conseguenze disastrose in un'altra occasione. Lo so che avevo 18 anni belli compiuti e la barba della rivoluzione ma, anche se vi aspettavate di più, le cose andarono così, solo così.
Mestamente ripresi il treno e tornai a casa e alla nostra rivoluzione giovanile. Alla stazione di Bologna incontrai i miei compagni di scuola di ritorno dalla montagna e seppi che Beppe Masetti aveva raggiunto l'apice della perfezione falsaria inviando a casa mia una cartolina da Moena con tanto di mia firma autografa.
Apparentemente la mia storia con Geert era finita ed era così in effetti anche se ho l'obbligo di aggiungervi ben altri tre capitoli.
Per quanto ricordo il capodanno lo passai qui, senza bere la famosa birra locale.
Guido Pasi