Avevamo progettato una vacanza low cost. Campeggio itinerante fuori dalle aree delle masse vacanziere, alla ricerca del sole in questa estate 2014 in cui in tutta Italia è stato autunno, però dormendo in luoghi freschi. Che toccasse zone di falesie ma anche bei posti di mare. Insomma capra e cavoli, tutto e niente, le nozze con i fichi. Con pochi soldi da spendere e una macchina con 400.000 km. sulle ruote carica di cose. Alla fine saranno 3.800 km. e circa 1.000 euro di spesa (500 a testa) tutto incluso per 18 giorni. Ci possiamo stare. La tenda grande, la cucina, sedie e tavolini per stare comodi e soprattutto il frigorifero portatile. Due ore per montare e due ore per smontare il tutto. Necessità di corrente e quindi niente campeggio libero.
Insomma una cosa complicata. Abbiamo anche una tenda piccola, di quelle "2 secondi" per eventuali soste di una notte. Ma l'abbiamo utilizzata una volta sola.
Alla fine il risultato dei nostri campi era una cosa così:
L'8 agosto partiamo per il Molise. L'idea è montare la tenda nell'agricamping Parco Abete Bianco e scalare nelle falesie dei dintorni.
Ho preparato una mappa interattiva con tutte le falesie che sono riuscito a censire dal centro italia in giù. Ho le guide e la documentazione cartacea. Ho anche un computer portatile dietro per aggiornamenti in tempo reale, ma... ha ormai i suoi bei dieci anni, a casa funzionava e appena lo attacco in tenda non vuole saperne. Un bel peso inutile da portarsi dietro. Poi dopo, a casa, al momento di ora attacco la spina e se non ti accendi ti butto riparte come se niente fosse.
La logica è quella di aver cercato di prevedere tutto ciò che fosse prevedibile in un ampio ventaglio di scelte possibili, lasciando perciò ampio spazio per l'improvvisazione giorno per giorno, anzi ora per ora, in un itinerario vagamente fissato. Lontano dalle spiagge incasinate, dal caldo del mare, dalle animazioni e dalle discoteche, al fresco se possibile, relativamente vicino a falesie, mare e/o laghi.
Il Parco Abete Bianco è in un posto bellissimo. Immerso in una conca erbosa circondata da boschi che sembrano senza limiti. I ragazzi che lo gestiscono gentili e simpatici.
Il paese, Pescopennataro, è tranquillo. Subito dopo aver montato la tenda facciamo un giro alle pareti di arrampicata alcune delle quali sono in mezzo alle case del paese.
Scopriamo che la guida del Molise è, per questa falesia, piuttosto approssimativa e incompleta. Capire la posizione delle vie presenti nella guida non sarà facile. I gradi sembra siano stati rivisti. E poi ci sono molte altre vie presenti che proveremo a salire senza saperne nulla, né prima né dopo. Il tratto comune è che sono al sole dalla tarda mattinata e che fa veramente caldo. Facciamo quelle in ombra ma sono poche. Una molto facile sul piazzale, una corta poco distante all'ombra di un guerriero, molto intensa, sul 6A+ credo e una fessura sulla parete davanti al piazzale in basso, che la guida indica come 6A e che trovo di un'arrampicata brutta e impegnativa. Il giorno dopo scendiamo più in basso, in una zona della falesia di cui la guida non fa menzione dove ci sono diverse vie (e con notevole potenzialità di future aperture) e prima che venga il sole facciamo un paio di giri su "pietra sannita" e una via accanto più facile. A me sono piaciute, ma non saprei indicarne la difficoltà.
Quella che segue un caminazzo verticale direi sul 5C-6A e "pietra sannita" almeno 6B+/6C ma mi rendo conto che è inutile parlare di gradi in un viaggio dove troverò chiodature e valutazioni estemporanee, vie sporche e invase da cespugli, licheni e rovi. Dove magari appigli e appoggi delle valutazioni originarie sono state riempiti da terra e coperte da erba.
Entro in modalità: si prende quello che c'è. Quindi basta pensare e quindi parlare di gradi o differenti valutazioni. Anche se a volte, al dovuto ringraziamento di default verso chi chioda, si accompagna la domanda: ma c'era proprio bisogno di fare la "pisciatina" su questa parete? In considerazione di quella ossessione compulsiva di molti chiodatori di andare a bucare la roccia, come a lasciare il segno del proprio passaggio, in "opere" francamente inutili e/o discutibili. Ma tant'è. Non si può pretendere che un trapano in mano faccia diventare artisti o intelligenti.
Tornando a Pescopennataro, così com'è come falesia non consiglierei il viaggio, tenendo conto del ben di Dio poco distante. Però ha grandi potenzialità e se al paese vorranno, potrebbe diventare un ulteriore polo arrampicatorio nella zona. In questo caso il Parco Abete Bianco sarà un valore aggiunto per mettere la tenda e per mangiare. Si sta veramente bene.
Un altra falesia che volevamo vedere è quella di Capracotta: Pescobertino. Seguendo le indicazioni della guida ho "quasi" azzeccato il sentiero. Trascurando la via più lunga e definita più bella, ho cercato quella più breve. Ho parcheggiato la macchina (come scoprirò al ritorno) in pratica all'attacco del sentiero, ma l'ho scambiato per l'accesso a un campo coltivato. E così ci siamo fatti 40 minuti di ravanata nell'erba alta e bagnata e nel sottobosco di ortiche e zanzare. In pratica parallelamente al vero sentiero.
Usciti sulla mulattiera sentiamo un rumore di auto. Mi prende lo sconforto: cazzo... dopo questa ravanata ci si arrivava in macchina? No, era una famigliola col fuoristrada. Moglie e figli scendevano davanti alla macchina indicando al marito alla guida sassi e buche più impegnative, fustigandosi a mo' di flagellanti con dei rami frondosi. Anche il marito dentro, fra una sgassata e l'altra, si fustigava alacremente.
Le mosche. Migliaia di mosche. Quelle grosse, insistenti, che tormentano i cavalli e pungono, se, rassegnato, te le lasci passeggiare addosso. Migliaia di mosche sul cofano e sugli sportelli della macchina. E attorno ai fuoristradisti che scappavano verso casa.
Il fremito di soddisfazione che mi gratificava a vederli scappare (odio fuoristradisti, quaddisti, motocrossisti e gli auguro ogni male) veniva immediatamente dimenticato quando centinaia di quelle migliaia si trasferivano attorno a noi, obbligandoci ai medesimi movimenti fustigatori con rami di nocciolo.
Per tutta la salita, sotto al sole, sudando nell'umidità tropicale, sarà così. Nonostante il liquido repellente di cui ci siamo cosparsi. Alla fine troviamo la falesia.
Ci sono un paio di vie lichenosissime. E poi una parete liscissima, sporca, salibile solo dove ci sono delle fessure le quali sono piene di terra e di rovi (lamponi). Questa per esempio sarebbe la più facile (un 6B) ma giuro che per me così com'è potrebbe anche essere 9D. Non ho trovato un appiglio, in quella fessura e la parete era viscida e polverosa. Infatti mi sono calato su una maglia rapida, che poi ho recuperato salendo da una cengia e calandomi. Sopra la cengia ci sono vie più facili, ma francamente non mi è parso valesse la pena.
Giudizio sulla falesia: non ci torno nemmeno se mi pagano. Il posto è carino, con una bella vista sulle Mainarde, ma le vie non mi sembra che valgano i soldi spesi in fix. Perlomeno nelle condizioni in cui è la falesia... magari se fosse più frequentata... ma permettetemi di dubitare.
Il giorno dopo pensiamo di andare al Lago di Bomba e poi al vicino paese di Pennadomo. Delusione: il lago è bello solo da lontano. Come tutti i laghi artificiali d'estate il bacino si abbassa di livello e le rive diventano una distesa di fango secco. L'acqua è opaca. Non invita a fare il bagno. Fa un caldo bestia e c'è un'umidità che si taglia con il coltello.
Ci sdraiamo sotto una pianta per passare le ore più calde, poi andiamo a Pennadomo.
Inizio ad avere dei dubbi sul navigatore Waze (gratuito) sul cellulare di Manu. Infatti avevo visto sulla carta che esistevano altre strade ma seguiamo i consigli del navigatore e ci mettiamo una vita e mezza. Arriviamo che fa ancora caldo però e scopro che ovviamente Pennadomo è in Abruzzo e quindi non è sulla guida del Molise e che la guida dell'Abruzzo l'ho lasciata a casa.
Facciamo un giro sotto al sole in paese e rinunciamo a scalare. Andiamo a fare un giro all'ombra in un canyon, ma di vie chiodate nemmeno l'ombra (appunto).
Il luogo, ma non lo scopriamo noi, è veramente suggestivo. Molto particolare. Pennadomo non è il solo paese dei dintorni che si appoggia a queste lame di roccia.
Il giorno dopo andiamo al mare, vicino Vasto, nella riserva naturale di Punta d'Erce.
Si traversa la zona industriale di Vasto, si prende una sterrata con divieto di sosta dove tutti parcheggiano, in mezzo a campi di girasole siccitosi e si scende alla spiaggia. Se non fosse per le gru del porto, in lontananza sulla destra, sarebbe un bel posto qualora non ci fosse la gente che c'era. Ce ne andiamo ai margini della spiaggia, vicino agli scogli, senonché immediatamente scopriamo che quella specie di arco che si vede nell'immagine sopra è meta dei pellegrinaggi di tutta la spiaggia per farsi delle foto suggestive. Un viavai continuo di gente che nei cinque minuti che sono stato sdraiato mi ha scavalcato due volte.
Prendiamo su tutto e ci spostiamo, camminando in acqua fino a una caletta.
Qui non è che manchino i rompicoglioni di passaggio, ma non c'è proprio posto per sistemarsi, oltre quello occupato da noi quindi transitano in acqua e basta, proferendo fra un respiro e l'altro un campionario di fesserie varie che ogni tanto ci fanno sorridere e rinforzare nella nostra acuta sociopatia vacanzieria.
C'è da dire però che la sensazione di avere quel conglomerato pendente sulla testa non è piacevole. Specie dopo aver provato a risalire una parte strapiombante sull'acqua in un goffo tentativo di DWS ed essere caduto al terzo movimento con tutta la presa in mano. Ogni tanto viene giù dalle pareti un po' di sabbietta e i grossi pezzi di scogliera a terra testimoniano frequenti distacchi. Fatto sta che preferisco una scomoda posizione sugli scogli piuttosto che quella sulla morbida sabbia ma sotto la parete.
Insomma: niente di che. Arrivando lì abbiamo fatto una trentina di km di costa. Tutta costruita, brutta, piena di gente dove accessibile in macchina. Sarà anche piacevole, ma non d'agosto, come molte altre parti d'Italia. Una giornata così così. Di ritorno il navigatore prova a farci prendere una strada nel bosco che dopo i primi km andava riducendosi a sentiero. Riesco a tornare indietro prima che sia troppo tardi. Inizio a diffidare pesantemente dell'applicazione e a insultare ripetutamente la voce meccanica che dà indicazioni.
Il giorno dopo partiamo per la seconda tappa del giro: la Basilicata della Val d'Agri con le sue falesie.
Voci al Vento
Fonte: http://vocialvento.altervista.org/, 2 settembre 2014.