«Aveva 26 anni, i capelli ricci e lo sguardo gentile, di testa le prendeva tutte: Erasmo Iacovone fu travolto all'una di notte, mentre usciva da un ristorante. E pensare che non voleva andarci»...
Il re di Taranto non ha ancora compiuto ventisei anni e ventisei anni non sono niente, un'ombra appena accennata nel contorno di una vita che sta prendendo forma. Ha i capelli ricci, i baffi sudisti, lo sguardo gentile. Quando fa freddo - prima del fischio d'inizio delle partite - saltella per sciogliere i muscoli poi incrocia le braccia sul petto e muove su e giù le mani per scaldarsi, nel gesto di chi riserva tenerezza a se stesso. Non è alto, ma va su in elevazione come un petardo. Il pezzo forte del suo repertorio è il colpo di testa. Gioca centravanti, la maglia di lana grezza gli pizzica la pelle, il numero 9 è cucito a mano sulla schiena, tra una striscia rossa e una blu. Ogni suo gol è una scintilla che accende il sogno della Serie A, la città di Taranto l'ha eletto idolo. Il re si chiama Erasmo Iacovone e non sa che nell'ultimo salto perderà la sua corona. Gliela toglierà un destino bastardo, uno schiaffo contrario, una coincidenza minima, però definitiva.
Iacovone muore all'una di notte del 6 febbraio 1978. È al volante di una Dyane 6 quando esce dal parcheggio di un ristorante - la "Masseria" - e viene investito da un'auto - un'Alfa Romeo GT 2000 - che sta correndo a velocità elevatissima e con i fari spenti. Alla guida c'è un pregiudicato, si chiama Marcello Friuli, ha 24 anni, lavora saltuariamente all'Italsider, la più grande acciaieria d'Europa, oggi Ilva. Poche ore prima ha rubato una vettura in viale Virgilio, la macchina è intestata al professor Giulio Bernardini. Dopo aver forzato un posto di blocco Friuli sta fuggendo da una volante della polizia che è partita all'inseguimento. L'impatto è devastante. La Dyane 6 di Iacovone sta facendo manovra per immettersi nella Statale che va verso Taranto ed è praticamente ferma, l'Alfa è una palla di cannone che viaggia a 180 chilometri all'ora. Iacovone muore subito, trauma cranico, inutile la corsa in ambulanza, nel disperato tragitto verso l'ospedale SS. Annunziata. Il suo assassino, Friuli, se la cava con una prognosi di dieci giorni.
Quando viene a sapere dell'incidente, la moglie di Iacovone - Paola Raisi - si trova a Carpi. È lì che si è trasferita la sua famiglia dal Veneto, dove Paola è cresciuta. È incinta del quinto mese di una bambina, ha programmato un controllo di routine. La bambina nascerà e si chiamerà Maria Rosaria, per tutti Rosy. Paola e Erasmo si sono conosciuti cinque anni prima, quando lui giocava con il Carpi in Serie D. Si sono fidanzati, nel giugno del 1977 si sono sposati, l'idea di un figlio è parsa ad entrambi una cosa da fare, subito bisogna farla. Il giorno prima della tragedia il Taranto ha giocato in casa contro la Cremonese, la partita è finita 0-0, molti i rimpianti per i pugliesi. Iacovone si è reso protagonista di un paio di azioni pericolose, ma ha trovato un portiere, Alberto Ginulfi, in stato di grazia. Iaco - come lo chiamano compagni di squadra e tifosi - è giù di morale, una settimana prima - contro la Pistoiese - si è sbloccato ed è tornato al gol dopo due mesi di astinenza, avrebbe voluto dare continuità alle sue marcature. È consapevole che i suoi gol sono fondamentali per alimentare il sogno della Serie A. Ne ha già segnati 8, quando muore sta lottando per il titolo di capocannoniere della Serie B con Massimo Palanca del Catanzaro e Stefano Pellegrini del Bari. L'ultimo gol della sua vita - contro la Pistoiese - è il riassunto di tutta una vita. Iacovone scatta sull'abbrivo di un'intuizione, prende il tempo al difensore avversario, entra in un'area di buche e pozzanghere, supera rocambolescamente il portiere - Poerio Mascella - e accompagna il pallone in porta.
Erasmo è un molisano di Capracotta, in provincia di Isernia. È figlio di un postino, fin da ragazzino il calcio riempie le sue giornate. Ha cominciato a giocare all'inizio degli anni '70 con l'Omi Roma, la squadra delle Officine metalmeccaniche, poi Triestina e Carpi, dove si è messo in luce, segnando con una certa continuità e contribuendo alla promozione della squadra in Serie C. Ha il coraggio di un leone, l'ardire del combattente. Di testa è una furia. Un anno e mezzo prima di morire - nell'autunno del 1976 - è arrivato a Taranto dal Mantova, al mercato autunnale, per 400 milioni di lire, un investimento economico non da poco. Con la nuova maglia del Taranto ha debuttato a fine ottobre, contro il Novara: si è alzato dalla panchina e ha realizzato il primo dei suoi 8 gol, tutti di testa. Un segno del destino. Dicono somigli a Beppe Savoldi, il bomber che qualche anno prima è passato dal Bologna al Napoli con un'operazione di due miliardi di lire. A Iacovone - fin dalle prime settimane del 1978 - si è interessata la Fiorentina e quello - comunque vadano le cose col Taranto - per lui sembra davvero l'anno buono per il salto in Serie A.
La domenica successiva alla sua morte il Taranto vince 3-1 a Rimini. La maglia n.9 di Iacovone la indossa il veronese Corrado Serato. È lui a segnare dopo appena tre minuti il gol del vantaggio. Serato ha 27 anni, quella sarà la sua ultima stagione da professionista. Dopo il gol non riesce a trattenere l'emozione e scoppia in lacrime. La squadra in quelle settimane di dolore reagisce col cuore, ma la morte di Erasmo segna il confine dei sogni. Il rendimento si appanna, la corsa rallenta e - nelle ultime 12 giornate - il Taranto vince una sola volta, alla penultima, quando ormai la promozione è sfumata. La stagione 1977-78 di Serie B - cominciata con grandi speranze - vede il Taranto del portiere croato nato a Pola, Zeljko Petrovic, e del futuro campione del mondo Franco Selvaggi che diventerà noto come "Spadino", classificarsi all'8° posto, in un'ammucchiata che comprende altre deluse, quali Sampdoria, Cesena e Sambenedettese.
Non ci vuole nemmeno andare, alla "Masseria", Erasmo, quella sera. Preferisce stare a casa, ma i compagni insistono. Torna a casa, telefona alla moglie Paola, alla fine decide di raggiungere i compagni, anche per poco, giusto per stare insieme e fare gruppo, è così che fa un calciatore consapevole del suo ruolo all'interno dello spogliatoio. Due giorni dopo la morte di Erasmo, il presidente del Taranto - Giovanni Fico - decide di intitolargli lo stadio, che fino ad allora si chiama Salinella. Sotto la curva dello Iacovone, oggi c'è una statua in bronzo: è stata realizzata vent'anni fa dallo scultore Francesco Trani. Ai funerali partecipano in 15.000, inevitabilmente piove. Sulla strada per San Giorgio Ionico - a poche decine di metri dal luogo dove è morto Iacovone - è stato costruito un centro commerciale, poco più in là c'è una lapide che dà testimonianza di una morte prematura, un dolore condiviso, un sogno interrotto".
Quel giorno non andai a scuola, piansi il mio campione, lì, in quello stadio che avrebbe portato il suo nome. E attraverso le lacrime che mi rigavano il volto (come ora mentre scrivo) insieme alla pioggia, riuscivo soltanto ad urlare la mia rabbia: "IACO, IACO, IACOVONE".
Furio Zara
Fonte: F. Zara, Tragedia a fari spenti, il sogno spezzato del re di Taranto, in «La Gazzetta dello Sport», Milano, 3 febbraio 2022.