L'aver collegato il tema dell'Unità d'Italia con la cerimonia di assegnazione della Medaglia di Bronzo al Merito Civile a Capracotta, in riferimento ai drammatici eventi del settembre-novembre 1943, che portarono alla distruzione del nostro paese, assume un preciso interesse storico. Talvolta, infatti, ed è questo un caso, gli avvenimenti della storia locale consentono una riflessione critica sulla nostra storia nazionale, che si delinea con connotati specifici a partire dall'unificazione territoriale e politica, ovvero dalla nascita dell'Italia come Stato-Nazione.
Fatta questa premessa, è necessario soffermarsi su alcune particolarità del processo unitario italiano, mai così contestato come in questo 150° anniversario da parte di taluni che, in forme ed in modi spesso semplicistici, attribuiscono allo Stato nato dal Risorgimento buona parte dei mali attuali dello Stato italiano.
Per affrontare un tema davvero ampio in forma chiara, e necessariamente sintetica, conviene porsi alcune precise domande storiche, che sono: come è nato il Regno d'Italia? Che carattere ha avuto il processo risorgimentale? E ancora, quale forma ha assunto lo Stato unitario? E infine, qual è stato il suo sviluppo storico in questi 150 anni? Quali le sue prospettive future?
Tenendo conto di un dato storico di partenza, ossia del fatto che il processo unitario è stato il frutto dell'incontro tra garibaldinismo e statualità sabauda, si può avviare la riflessione mettendo a fuoco tre aspetti.
Bisogna considerare, innanzitutto, che l'evento si è rivelato straordinariamente rapido: dall'inizio della II guerra di indipendenza (aprile 1859) alla conclusione della Spedizione dei Mille (ottobre 1860), passa poco più di un anno; ciò ha condizionato le modalità con cui si è compiuta l'unificazione, non previste dai suoi stessi artefici. I governi provvisori, nati dalle insurrezioni nei Ducati e nelle Legazioni pontificie all'indomani dello scoppio della guerra, chiesero l'annessione al Piemonte, sancita dai plebisciti del marzo 1860.
La Spedizione dei Mille, che nasceva da un rinnovato entusiasmo mazziniano per un'iniziativa democratica nel Sud e che poteva risultare vincente, fu supportata da Cavour con l'intervento militare e con l'azione governativa prevedendo, come di fatto fu, l'annessione di tutte quelle regioni italiane che ne avessero fatto richiesta attraverso i plebisciti. Tra la fine di ottobre e gli inizi di novembre 1860, il Mezzogiorno, le Marche e l'Umbria entrarono a far parte del Regno d'Italia. Il 17 marzo 1861 il primo parlamento italiano proclamava Vittorio Emanuele II re d'Italia «Per grazia di Dio e per volontà della nazione», formula compromissoria (a cui non si giunse facilmente) che sintetizzava nella prima parte, "per grazia di Dio", l'azione delle forze conservatrici e nella seconda, "per volontà della nazione", l'azione di quelle liberali.
In secondo luogo, il processo di unificazione ha dato l'avvio ad un organismo assolutamente nuovo e straordinario nella storia italiana, diverso cioè da qualsiasi formazione politica italiana antica o medievale, ovvero uno Stato monarchico-costituzionale. Uno Stato tipicamente moderno che colmava, alfine, il divario che esisteva tra gli antichi Stati preunitari e l'Europa.
La nascita di uno Stato siffatto, dello Stato nazionale italiano, e veniamo così all'esame del terzo aspetto, fu determinata dalla combinazione di due tendenze ideologiche diverse, ma alla fine complementari. L'Unità fu concepita sulla base del disegno liberal-moderato di Cavour, che prese forma nel contesto della statualità sabauda, e fu resa possibile dalla garibaldina Spedizione dei Mille. Garibaldi consegnò l'Italia meridionale a Vittorio Emanuele II, ma questo non significa affatto che si possa parlare del Risorgimento come di una conquista regia. L'Unità fu preparata da un ampio moto di opinione pubblica, che coinvolse strati sociali dinamici e attivi, seppure minoritari. Intellettuali, studenti, borghesia produttiva concepirono l'Unità come la necessaria precondizione di uno sviluppo economico e sociale che avrebbe fatto dell'Italia una nazione moderna.
In ogni caso, le particolari modalità per mezzo delle quali si pervenne all'Unità hanno influenzato la vicenda storica della nazione nei decenni successivi, ed alimentato un dibattito interpretativo che ancora perdura. Certamente una delle analisi più interessanti e significative del processo risorgimentale è stata quella di Antonio Gramsci, contenuta nei "Quaderni dal carcere". I democratici non assunsero la guida del movimento perché non sostennero nei loro programmi la riforma agraria, che avrebbe invece coinvolto le masse popolari.
La posizione di Gramsci è stata messa in discussione da Rosario Romeo, il quale, dati alla mano, ha dimostrato che la riforma agraria non avrebbe consentito lo sviluppo del Paese. Ovvero l'accumulazione del capitale necessario per la creazione di strutture produttive ed infrastrutture moderne, indispensabili per il decollo industriale e per il superamento del gap italiano rispetto alle altre nazioni europee.
La storia del Paese, nell'età del liberalismo classico, è stata contrassegnata da contrasti sociali molto forti, che sono divenuti acutissimi tra la fine dell'800 e gli inizi del '900. Nel periodo giolittiano, la classe dirigente riesce in parte ad esaudire le richieste di estensione di diritti e di partecipazione delle grandi masse. All'indomani della Grande Guerra, tuttavia, lo Stato liberale non appare più in grado di fronteggiare la gigantesca mobilitazione sociale che il conflitto ha generato, e crolla infine sotto i colpi che gli infligge il fascismo.
Il regime fascista, inseguendo l'utopia della costruzione della nuova Italia e dell'uomo nuovo, si attribuì la titolarità dell'idea di patria e finì con l'identificare la nazione stessa con il fascismo. In questo modo, l'ideale risorgimentale e liberale della "patria degli italiani" venne sostituito dalla "patria dei fascisti", e ciò significò che il vincolo sacrale di "patria e libertà" fu spezzato. Ma è con l'armistizio dell'8 settembre '43, con l'Italia tagliata in due e la presenza di due Stati nella penisola, che il "comune sentire", il sentimento di appartenenza alla nazione, andò definitivamente in frantumi.
La ricomposizione di tale sentimento fu affidata alla Costituzione repubblicana, che ha promosso una forma di patriottismo costituzionale ed ha affermato principi e valori che ne palesano la discontinuità rispetto allo Statuto Albertino. Assicurando taluni importanti diritti sociali, tra i quali spiccano il diritto allo studio e il diritto alla salute, che sono divenuti patrimonio comune di tutti gli italiani, la Costituzione è stata in grado di promuovere un reale e unitario progresso civile.
Per farsi un'idea di questa grande trasformazione, basti considerare alcuni dati. Lo Stato nato nel 1861 contava 22 milioni di abitanti, per la stragrande maggioranza contadini poveri, con un'aspettativa di vita media intorno ai 40 anni e con un tasso di analfabetismo del 90%. Oggi, i 60 milioni di italiani sanno, per il 99%, leggere e scrivere; vivono mediamente 80 anni e per il 95% non sono addetti all'agricoltura. Sono dati tratti da un articolo di Emilio Gentile, apparso sul Corriere della Sera del 13 marzo 2011, e sono davvero emblematici.
I passi da gigante compiuti dall'Italia non devono tuttavia far dimenticare la drammatica crisi che attraversa il Paese, dovuta all'occupazione dello Stato da parte dei partiti e alla dissipazione delle risorse pubbliche. È forse quella stessa criticità che già Aldo Moro, alla fine degli anni '60 e del "boom" economico, aveva avvertito in tutta la gravità della sua minaccia.
Il fatto è che allora lo Stato nazionale sembrava godere di ottima salute, mentre ora attraversa uno dei passaggi più difficili dell'intera storia repubblicana.
È allora legittimo chiedere alla classe dirigente un grande sforzo unitario, per superare di slancio la crisi che attanaglia il Paese e ricomporre il sentimento dell'unità nazionale con il senso dello Stato, in cui la stessa unità si concretizza.
Maria Rosaria Di Nucci
Fonte: M. R. Di Nucci, Dall'Unità d'Italia ai tragici eventi del '43, in «Voria», V:1, Capracotta, dicembre 2011.