Ma non pur Febo homai nel falso umore
risposto havea di buona pezza il giorno;
e i rai lucenti del divin splendore,
scinti da l'aureo crin s'havea d'intorno;
che, cibato d'ambrosia, e nettar, l'hore
gli apprestavan veloci il letto adorno,
e l'ombra cinta di più oscuro velo,
precipitando giù cadea dal Cielo.
Nel 1606 la poetessa Margherita Sarrocchi (1560-1617) pubblicò a Roma i primi canti del poema "La Scanderbeide", per onorare la figura del grande eroe albanese Giorgio Castriota, detto Scanderbeg, e nel 1623 l'opera vide la luce nell'edizione definitiva (postuma) di dodici canti sotto i torchi di Andrea Fei. Quando poi nel 1701 l'editore franco-napoletano Antonio Bulifon (1649-1707) decise di riportare all'attenzione del pubblico la gloriosa Scanderbeide (nella versione a quattordici canti), l'editoria partenopea stava vivendo una irripetibile stagione d'oro.
Nel presentare il poema della Sarrocchi, il Bulifon decise di dedicare il primo libro dell'opera a Giovanna Caracciolo (1649-1715) - madre di Carmine Nicola Caracciolo, conte di Capracotta e futuro viceré del Perù - e il secondo a sua moglie Costanza Ruffo (1679-1715). Queste due donne, che guidarono e indirizzarono la vita del più famoso e potente abruzzese vissuto a cavallo tra il XVII e il XVIII secolo, sembrano infatti idealizzarsi in due personaggi femminili del poema epico: Rosana, figlia di Amuratte, e Flora, figlia di Pallante.
Proprio in quell'anno, il 1701, la morte del re Carlo II apriva una grave crisi per la successione al trono di Spagna e provocava la divisione del patriziato napoletano in diverse fazioni; ma quella crisi fu una manna per il Caracciolo poiché questi, che aveva dichiarato fedeltà ai Borbone di Francia e Spagna, poté apertamente chiedere la «real protezione» quando salì al trono Filippo V di Borbone. Da quel momento in poi la carriera di Carmine Nicola Caracciolo fu una scalata verso le stelle, seppur inframezzata da pesanti difficoltà e viaggi logoranti, il che rafforza il senso del motto latino "per aspera ad astra".
Scendon dal monte immantinente al piano,
le valorose donne ambo due liete,
la dolorosa madre in atto humano,
Rosana prega, che sua pena acquete,
e ricca copia d'or con larga mano,
che d'avaritia può smorzar la sete,
le dona, onde rallegra il mesto core,
che compagna ricchezza, e 'l duol minore.
Francesco Mendozzi
Bibliografia di riferimento:
G. M. Crescimbeni, Dell'istoria della volgar poesia, vol. II, Basegio, Venezia 1730;
G. Gimma, Elogi accademici della Società degli Spensierati di Rossano, libro II, Troise, Napoli 1703;
F. Mendozzi, Guida alla letteratura capracottese, vol. II, Youcanprint, Tricase 2017;
M. G. Paviolo, I testamenti dei cardinali: Tommaso Ruffo (1663-1753), Lulu, Raleigh 2014;
S. Pezzini, Ideologia della conquista, ideologia dell'accoglienza: "La Scanderbeide" di Margherita Sarrocchi (1623), in «MLN», CXX:1, The Johns Hopkins University Press, Baltimore, gennaio 2005;
F. Pintus, Sul poema "La Scanderbeide" di Margherita Sarrocchi. Note di lettura, tesi di laurea, Università degli Studi di Sassari, 2010-2011.
M. Sarrocchi, La Scanderbeide, libro II, Bulifon, Napoli 1701.