Sono arrivato a Capracotta nel febbraio del 1998 e sono entrato nel vostro paese in punta di piedi.
Non c'era la neve, ma durante quella prima notte, passata ad annusare l'aria, è nevicato. Una di quelle fioccate fini fini, dolci dolci, che con il passare degli anni ho scoperto essere una cosa più unica che rara. Da quella notte, ho avuto la percezione che questo paese, di cui non conoscevo neanche i confini, avesse racchiusa in sé un'alchimia particolare, qualcosa da raccontare all'interno di quelle pendici che la mattina seguente si erano imbiancate.
Sono passati più di 10 anni da quella prima volta a Capracotta e chi mi conosce sa quanto tempo ho passato, e passo ancora, nei boschi, in cima alle montagne o semplicemente in un prato a guardarmi attorno. Oggi il territorio di Capracotta mi è così familiare che se penso a quando mi sono perso su Monte Campo, scendendo per Portella Ceca per ritrovarmi a San Nicola, mi faccio ancora una risata. Durante le mie prime camminate, ci fu qualcuno che mi suggerì che sull'altra montagna del paese, quella della pista da sci, c'era da fare una bella passeggiata, fino ad arrivare «all'acquasantera». Cosa sarà mai questa "acquasantera", mi chiesi, e mosso dalla curiosità feci anche questa camminata su per il Monte. La prima volta che salii da quelle parti, anch'io, come tanti, non vidi altro che quattro muretti diroccati e una pietra con un buco al centro, che tutti chiamano "acquasantera". In quel momento non vi diedi molta importanza e passai oltre.
Era l'inizio dell'estate scorsa quando, all'improvviso, mi sono chiesto: ma perché finisco sempre lassù? Lassù, su Monte Capraro, che è la prima cosa che cerco con gli occhi quando arrivo a Capracotta ed è il mio ultimo sguardo quando lascio il paese. Cosa nascondono quei boschi di Monte Capraro? Nascondono un segreto vecchio almeno di duemila anni, e come immaginato da Antonio De Simone nel suo libro "Il Sannita", quel Mons Caprarum, così chiamato dagli antichi romani, è più vivo che mai. Ho passato ore seduto su quel masso a forma di seggiola rivolto verso le vallate sottostanti, con lo sguardo che a volte arriva fino a Venafro. Sì, proprio fino a Venafro ed anche oltre. Ma la mia curiosità è stata sempre attratta da quei resti, o meglio da quella sagoma in un angolo del bosco che aveva tutta l'aria di essere un pozzo.
Un pozzo? A chi poteva servire un pozzo quassù? Semplice, quando era in funzione forniva l'acqua a Padre Ruele e ai suoi confratelli che abitavano quell'eremo intorno al 1100. L'Eremo di San Giovanni di Monte Capraio, così denominato nei testi antichi, è stato distrattamente dimenticato per quasi ottocento anni, finché non venne citato da Luigi Campanelli nel libro che molti conoscono.
All'improvviso ho avuto la percezione che parte delle risposte fossero proprio lì, in fondo a quel pozzo. Quel fascino particolare, quell'alchimia strana che ha questo territorio trae origine anche dalla cima di questa montagna. Bisognava cominciare da lì!
Ho passato quasi tutto l'agosto del 2008 all'acquasantera per pulire il pozzo profondo più di tre metri, che stava aspettando da qualche secolo di liberare i propri segreti, come il masso che lo alimenta, nascosto sotto venti centimetri di muschio e foglie che con le sue scanalature, al pari delle vene di un braccio, lo alimentano. Forse in quell'acqua si sono ristorate vedette sannite, romane o qualche barbaro di passaggio, e sicuramente qualche soldato longobardo che poi ha lasciato l'acqua ai monaci benedettini.
Se Luigi Campanelli fosse ancora fra di noi, e vedesse certe cose direbbe: «...Ve l'avevo detto!!!».
Forse lui sospettava, ma sicuramente la modesta conoscenza archeologica di quell'epoca gli ha lasciato dei dubbi. Ebbene sì, caro Campanelli, prima dei fratelli benedettini sul Monte Capraro c'erano i Romani, se non addirittura i Sanniti o comunque entrambi.
Lo scorso 16 agosto sono stato invitato da Tiziano Rosignoli ad una gita di gruppo su Monte Capraro in compagnia del sindaco Antonio Monaco. È stato sorprendente vedere tante persone condividere la passione per le nuove scoperte. Quando il sindaco, poi, mi ha chiesto di scrivere questo articolo, ho avuto la conferma che proprio con passione, costanza e professionalità, personalmente arricchita con la collaborazione con gli ambienti delle Gallerie Pontificie e dei Musei Vaticani, si riesce sicuramente a realizzare un sogno: riportare alla luce quello che era nascosto!
Certo è che non dobbiamo sognare i Fori Imperiali, ma la dedizione e l'impegno manifestato in occasione della seconda gita guidati dal sindaco, in quella bella domenica del 13 settembre scorso, potrebbero aiutarci a fare di quel "sito archeologico" una ulteriore risorsa per il paese, se non una pagina di storia mai scritta.
Piermaria Illariuzzi
Fonte: P. Illariuzzi, ...Ve l'avevo detto!!!, in «Voria», III:2, Capracotta, dicembre 2009.