Il nome pezzata lascia pensare a una pecora fatta a pezzi e posta in un contenitore di rame per essere cotta con le erbe che caratterizzavano il manto erboso delle antiche autostrade dell'umanità e i campi vicini al suo percorso.
C'è da dire che, anche se è vero che la pecora viene ridotta a pezzi, il nome fa riferimento al panno (pezza) che serve per filtrare il brodo di cottura e renderlo privo di pezzi grossolani. Una straordinaria tradizione che si perde nella notte dei tempi e che, da 50 anni, anima una delle sagre (vere e non inventate) più famose (18° posto) tra quelle che si svolgono nelle piazze più belle della nostra fantastica Italia, o, come nel caso di questo piatto unico per bontà, in un immenso pianoro, Prato Gentile, delimitato da faggi, che, d'inverno, è meta degli appassionati dello sci di fondo.
Mezzo secolo di successi, con migliaia di affezionati frequentatori che sono diventati, nel tempo, cultori di un piatto simbolo della civiltà della transumanza, che vive grazie alla passione di chi continua ad allevare pecore che, come sa chi conosce la cultura e il mondo della pastorizia, sono sempre state, a differenza degli agnelli e dei castrati, utilizzate vive. Una regola ferma della civiltà dei pastori, salvo la necessità di un abbattimento delle pecore per zoppia o infortuni lungo il percorso di andata e ritorno, trac-tur (tratturo), che, in autunno, dall'Abruzzo portava, attraverso il Molise, alla Puglia per poi risalire, in primavera, facendo il percorso inverso.
La fatica dei volontari (soprattutto giovani) raccontata dal presidente della pro-loco, Rosignoli, che ha evidenziato i suoi aspetti organizzativi; le problematiche, da quella economica a quella logistica e metrologica; le prospettive per dare all'iniziativa il ruolo di immagine e di sviluppo turistico di un territorio altamente vocato.
La passione e il racconto di personaggi di questo territorio, come Michele Conti, da una vita notaio a Isernia, che non ha mai perso il suo legame con Capracotta e la sua attività di sempre, l'allevamento ovino. Uno dei 24 allevatori, dei 167 che popolavano cinquant'anni fa questo splendido territorio montano, che continua a gestire, dopo la fine della transumanza, la sua stalla di 700 e più pecore e a produrre, rigorosamente con l'utilizzo di latte crudo, il suo Pecorino di Capracotta dall'antica fama. Un allevamento moderno il suo, che, con quelli ancora attivi, ha portato a moltiplicare per tre il patrimonio ovino, lasciando intatto il numero delle vacche allevate sul territorio.
Una passione, dicevamo, quella del notaio-allevatore Conti, che ha fatto proseliti tra i giovani, con Antonella che, dopo la laurea in ingegneria e la prospettiva di andare a cercare fortuna fuori dall'Italia, ha scelto di tornare nella sua Capracotta e di dedicarsi all'allevamento per produrre Molisello, un latte selezionato, rispettoso dei suoi caratteri organolettici. E, ancora, Michele, che torna a Capracotta per aprire un ristorante e, così, investire anche lui sulle bellezze del territorio forte delle sue peculiarità e tipicità.
Esempi di amore e passione per la propria terra, le proprie tradizioni e di attaccamento al proprio territorio che hanno fatto vivere momenti di emozione nell'incontro organizzato dal comune di Capracotta per i 50 anni della Pezzata.
Un incontro che ci ha visto partecipi con l'idea di dare a questa specialità gastronomica e a due prodotti conosciuti da sempre per la loro origine di Capracotta, il Pecorino e le deliziose Lenticchie, uno dei marchi europei riservati alle eccellenze Dop e Igp.
Chiudiamo riportando il procedimento, così come codificato nel 2005 dall'Accademia della Cucina italiana, delegazione di Isernia, che porta alla Pezzata di Capracotta, un piatto davvero unico. Una caldaia in rame con pezzi grossi di pecora, prima sgrassati, coperti di acqua e portata a bollore avendo cura di togliere via via la schiuma che si forma, necessaria per la delicatezza dei profumi e dei sapori della Pezzata come quella di aggiungere gli odori, il sedano, il sale e le patate tagliate in quattro, qualche pomodoro e peperoncino. Girare fino a quando l'acqua non si sarà trasformata in un sughetto cremoso, soprattutto grazie alle patate.
Un'operazione lunga quattro ore, dopodiché il passaggio obbligato nella pezza prima di servirla in un tegame di terracotta per mantenerla sempre calda insieme a una fetta di pane. Alla fine, prima di gustarla e poi digerirla con il palato impresso di bontà, sentire l'intensità e la delicatezza dei suoi profumi e non perdere l'occasione di abbinarla con i grandi vini rossi del Molise, in primo luogo il Pentro di Isernia o la Tintilia che dei vini della regione è l'immagine.
Pasquale Di Lena
Fonte: https://www.italiaatavola.net/, 28 febbraio 2012.