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Le vergini prudenti e le vergini imprudenti


Capracotta anni 50
Elena Venditti e Nina Mendozzi servono le autorità ai tavoli dell'Albergo Vittoria.

Le allora signorine Elena e Caterina, meglio conosciute come Lenuccia e Nina, erano belle, spigliate e simpatiche. Furono le dame di cortesia in piazza, sul palco e al ristorante il giorno dell'arrivo dello spartineve. Ai nostri giorni diremmo che fecero l'accoglienza agli ospiti illustri giunti per la consegna di Clipper. Volentieri raccontano la loro esperienza di quel giorno memorabile.

Quella mattina le ragazze più belle del paese furono invitate a indossare i costumi d'epoca e sul palco, allestito in piazza, cantarono i canti popolari, fino all'arrivo delle autorità e dello spartineve. Il gruppo, che comprendeva anche alcuni maschi, era il coro del paese che si esibiva in chiesa durante le cerimonie religiose e in occasione dei matrimoni. Si esercitava per lo più presso l'asilo, guidato da suor Assunta Possa, e presso la chiesa eseguendo canti sacri. Per quella occasione, diretto dal reverendo don Gennaro Di Nucci, il coro aveva preparato anche canti popolari e al repertorio classico aveva aggiunto il canto inedito "L'inno dello spazzaneve", scritto e musicato dallo stesso sacerdote.

Intorno alle tredici, all'arrivo di Clipper in piazza, fu cantato l'inno che diede così inizio alla cerimonia ufficiale della consegna. A questo punto il comitato festeggiamenti, per fare spazio alle autorità, invitò le coriste a lasciare il palco, tranne Lenuccia e Nina. A loro dissero: «Vu armanéte ca séte le chiù cenénne». Le altre erano poco più alte di loro. Elena commenta: «Nu eravàme piccole di statura, putavàme sctà». «Eta armanì ecche ca mó vè quire ch'è purtàte re spazzanève e r'avéta rengrazieà personalmente, e puó eta ije all'albergo a servì r'Ambasciatore, e v'avéta sapé presentà».

Stando a quanto riferito da Lenuccia, la loro selezione fu determinata dalla statura. Sembra quasi una valutazione "di ingombro". Fu senz'altro una motivazione di copertura per chi decise: di fatto, fu una scelta di simpatia. Loro erano naturali e disinvolte, certamente non timide. Possedevano i requisiti indispensabili per animare la cerimonia e intrattenere gli ospiti al fine di far ben figurare Capracotta. Elena ricorda che Michele Ianiro le incoraggiò dando loro qualche consiglio e raccomandando di presentarsi bene per evitare cattive figure. E lei di rimando: «Ma che jéma dice a quìre, mica sapéme parlà amerecàne?». «Nóne, c'avéta parlà amerecàne! Quanda ve presentàte all'autista, sapétece stà vecìne, facéte vedé ca nen facéte le vergugnóse».

È da dire che si chiedeva a Elena e Caterina di ringraziare in particolare l'autista dello spazzaneve, Armond Gaito, che si era offerto spontaneamente di venire in Italia per guidare Clipper, perché da Capracotta, anche se gli americani avevano richiesto un conducente, non erano riusciti a inviare nessuno. Ma la sua spedizione assunse un significato rilevante, perché la moglie di Gaito era in attesa di partorire proprio in quei giorni, e lui ebbe il coraggio di lasciarla per compiere questa missione. Infatti, la cicogna arrivò il 18 gennaio e lui ebbe la notizia della nascita di sua figlia il 24 gennaio, al rientro in albergo a Roma, sulla strada per il ritorno in America.

L'autista arrivò ed Elena dice: «Quìre arrevieàtte, puvriéglie, era ne bell'òmmene, sagliètte e venne vecìne a me e Nina e je dètte na mieàne pedùna». E loro tennero per mano l'autista, una a un lato e una all'altro. Sul palco una persona di Capracotta le disse: «Come rengraziamènte vaciàtere l'autista». Elena, che si vedeva piccola vicino a quest'uomo, pensò: «Che m'aja métte la scala pe vacieàrre quìscte?». In quel momento non pensò minimamente a cosa avrebbero potuto pensare i compaesani se l'avesse fatto. Si fece coraggio e, piano piano, si girò verso quel bell'uomo e lo baciò: «Disinvolta le faciétte! Puó re vaciàtte pure Nina». L'autista, al bacio, lasciò le loro mani e si mise ad applaudire. Con lui applaudirono anche le autorità e il pubblico. Nina però istintivamente rivolse lo sguardo al parroco don Nicola che era sul palco e: «Notai che si urtò». Lenuccia, sentendosi colpevole, pensò che forse, con quel bacio, lei e Nina erano andate oltre la soglia della morale comune. Disse a Nina: «Mo chisà ch'ena dice a Capracotta ca séme vaciàte quìscte, te l'emmieàggene a Capracotta». E Nina pronta: «Pecché, nu che séme fàtte? Nen séme fatte niénte de male!». Intanto la festa continuava. Ci furono i vari discorsi, i ringraziamenti, i saluti, la benedizione dello spartineve. Anche il parroco fece il suo discorso, loro temevano un suo appunto, ma lì sul palco don Nicola non fece alcun riferimento al bacio.

Finita la cerimonia in piazza, Clipper rimase lì in bella vista, ammirato dai tanti curiosi anche di altri paesi. Le autorità in corteo e gli addetti all'accoglienza si trasferirono al ristorante presso l'albergo Vittoria di Antonino Ianiro. Le due signorine servirono a tavola insieme ad altre persone. Dice Nina: «Gli ospiti occuparono due sale piene, stavano stretti stretti». Loro servirono gli ospiti della sala principale, là dove sedevano l'Ambasciatore americano con la consorte e altre autorità. C'era un tavolo a ferro di cavallo. Tra una pietanza e l'altra cantarono i canti che avevano già fatto ascoltare in piazza. Ripeterono l'inno allo spazzaneve ed anche una ninna nanna al ritmo del dondolio di una culla, che era a un angolo della sala, e sembrava messa lì a posta per quella circostanza. La culla fu messa al centro del ferro di cavallo e loro, una di qua una di là, la spingevano e cantavano.

Tra le pietanze ricordano bene che ci furono le sagne e faciuóle e pure le pezzelle. Ricordano che l'Ambasciatore era una persona austera e stette quasi sempre silenzioso. La moglie invece, vivace e allegra, fu colpita piacevolmente dai costumi delle ragazze, ma soprattutto le piacquero molto gli orecchini che indossava Nina. Continuava a dire: «Belli belli hooo…!». La Signora manifestò il desiderio di averli per sé e portarli in America per ricordo. Più volte rivolta a Nina disse: «Money money». Li voleva comprare. Ovviamente Nina, garbatamente, a gesti, fece capire alla signora che i suoi orecchini non erano in vendita. Quegli orecchini facevano parte della parure di famiglia indossata da lei per l'occasione, avevano un grande valore affettivo, senza prezzo e non commerciabili. Nina dice dei suoi orecchini: «Sono di oro antico, di buona fattura artigianale, hanno delle perle e terminano con una frangia di fili d'oro». Erano un dono della sua bisnonna, lei ci teneva tanto a conservarli e non l'avrebbe mai venduti ad alcuno. Infatti, quegli orecchini sono ancora in famiglia.

Però, trascorsa la festa, dice Nina: «Don Nicola, in chiesa, solo quattro giorni dopo l'arrivo dello spazzaneve, il giorno di santa Agnese, che ricorre il 21 gennaio, fece la predica e commentò la parabola delle vergini prudenti e delle vergini imprudenti. Le prudenti avevano conservato l'olio per la lampada, le imprudenti no». Fu chiaro il riferimento al comportamento delle due ragazze per quel bacio. E commenta Nina: «A quel tempo quel bacio ad uno sconosciuto fu senz'altro un'imprudenza». Loro avevano baciato, sulla guancia, quell'americano ingenuamente come segno di benevolenza e di amicizia senza alcuna malizia, eppure il gesto fu ritenuto da alcuni sconsiderato e impudente.

Per Nina non ci fu alcuno strascico. Lei era fidanzata felicemente con Michele, ingegnere, uomo colto ed evoluto, che non diede alcun peso a quel gesto. Lo considerò per quel che era realmente stato. Un semplice gesto di saluto e ringraziamento. Nina dice: «Quel bacio doveva essere portato dall'autista a tutti gli americani benefattori».

Nelle famiglie delle due ragazze nemmeno ci furono censure, conoscevano bene le loro figlie, semplici e spontanee, niente affatto avventate. I familiari si sentirono orgogliosi della simpatia e cordialità che le loro ragazze riuscirono ad esprimere agli ospiti illustri, facendo ben figurare il loro paese. Però, come sospettato, nei giorni successivi le chiacchiere non mancarono. D'altronde, l'innesco l'aveva dato il parroco; la gente fece il resto.

Ci furono pettegolezzi e maldicenze fastidiose per Lenuccia. A domanda diretta: «Per questo fatto hai subìto delle conseguenze?». La risposta è stata: «Sì, perché la gente nen ze facéva la masciàta séja». In giro per il paese c'era chi diceva: «Èssele vì! Je dieàne tutta la libertà, era necessieàrie ca évane vacià quìre?». È per questo che il suo papà si mortificava.

Suo padre non era risentito nei suoi confronti e le voleva bene. E lei gli diceva: «Papà, mica l'aje fàtte sol'ije, e mica l'aje fàtte de nascuóscte. Sopra a re palche annieànde a tanta gente!». Erano soprattutto le persone anziane che facevano questi ragionamenti. «Quìre, Ze Ndunìne che facéva re pucràre, quìre era che ze metteva a Cacature e deceva: "vìde scte mammòcce che ze mìttene a fà sopra a re palche! Addò scta chiù la moralità?"». «Allora era la moralità!?» esclama Elena, e racconta che dopo quel fatto ogni cosa che succedeva in famiglia ricadeva su di lei e i genitori non la volevano fare uscire più di casa. Tanto è vero che ci fu un episodio increscioso per il padre.

Il padre, noto come Cianotto, era il custode del cimitero. Pochi giorni dopo che era giunto lo spartineve, morì un certo Carmine. Dopo i funerali fu portato al cimitero, però i familiari chiesero al papà di Lenuccia di non tumularlo e di non inchiodare il coperchio della bara, poiché l'indomani sarebbero arrivati i figli dalla Puglia, per dare l'ultimo saluto al padre. Il fatto è che l'indomani Cianotto, recatosi al cimitero, trovò la bara scoperta e il morto completamente svestito. Gli avevano lasciato solo re sottecualzóne. Qualche mascalzone durante la notte aveva pensato bene di impossessarsi dei vestiti del defunto.

Questo fatto dai più fu ritenuto un segnale sfavorevole a seguito del "peccato" commesso da Lenuccia. Don Nicola, sempre convinto dell'impurità del gesto, voleva insistentemente che le ragazze si confessassero. Una volta Lenuccia, seccata e risoluta, gli rispose: «Ma dìmme ne po', che cósa z'avéma cunfessà?».


Michele Potena

 

Fonte: M. Potena, Le vergini prudenti e le vergini imprudenti, in AA.VV., I racconti di Capracotta, vol. I, Cicchetti, Isernia 2011.

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