Il fiume Verrino, con la sua sorgente posta a quota 1.250 m.s.l.m., ai limiti dell'abitato di Capracotta in località Ara Petracca, si sviluppa per circa 24 km., bagna i territori dei Comuni di Capracotta, Agnone, Castelverrino, Poggio Sannita, Pietrabbondante e Civitanova del Sannio, per poi confluire nel fiume Trigno in località Sprondasino.
Il nome Verrino ha sicuramente origini romane. Ci sono due contrastanti versioni di derivazione, la prima attribuisce l'origine al console romano Lucerio Verino, mentre la seconda, più verosimile, al maschio della specie suina adibito alla riproduzione, il verro (lat. verres), visto che nessun animale, come il maiale, ha rivestito un'importanza così fondamentale nell'economia alimentare di tante popolazioni. Dalla corruzione dell'antica denominazione verres si è dunque passati al nome Verrino, diminutivo di "verro".
Pensare che Comuni come Agnone e Capracotta utilizzassero l'acqua del Verrino come unico bene primario per la sopravvivenza umana e dell'ambiente è alquanto riduttivo, in quanto le caratteristiche orografiche del terreno permisero di sfruttare le cascate delle sue acque mettendo in opera nel XVII secolo opifici come ramere e mulini, e, all'inizio del XX secolo, delle centrali idroelettriche. Basti pensare che l'illuminazione elettrica pubblica nel Comune di Capracotta risale al 1901, mentre a Milano arrivò soltanto nel 1905!
Ai piedi delle due cascate del Verrino si erano formati dei piccoli invasi che venivano usati ad inizio stagione per lavare le pecore, i cosiddetti bagnaturi. Non bisogna dimenticare che negli anni '50 quello fu il teatro di tragedie umane, come l'annegamento di due bambini caduti in questi piccoli laghetti in località Pisciarello.
Nelle vicinanze del mulino di Santa Croce, precisamente sotto la masseria Amicone, a 1.050 metri di quota, mio nonno Domenico sperimentò per un triennio la coltivazione del caffè. Fu costretto a malincuore a più miti propositi perché, sebbene l'appezzamento di terreno fosse piccolo, a quei tempi era necessario sfamare nuove bocche, non soddisfare il suo fine palato! E così tornò presto a tostare e macinare l'orzo per il buon caffè mattutino.
Con l'avvento della Seconda guerra mondiale il territorio prospiciente il fiume Verrino fu interessato, suo malgrado, da episodi bellici sia a favore dei prigionieri alleati scappati dal campo di prigionia di Sulmona, sia da episodi ostili agli occupanti tedeschi.
Durante l'occupazione tedesca, nell'ottobre del '43, il luogo fu teatro di un episodio di belligeranza da parte degli occupati che, con i moschetti prelevati nella notte del 10 settembre dal fabbricato del Tiro a Segno di Capracotta, operarono nei pressi della cascata del Verrino un agguato a una pattuglia nemica intenta a requisire vettovaglie ferendo quasi mortalmente un militare.
Fu un'azione alquanto avventata che comportò la reazione da parte dei belligeranti con le batterie antiaeree, adiacenti la casa cantoniera ubicata centralmente alle due stazioni ferroviarie Verrino-Cassillo, che si scatenarono per quasi tre settimane ad "alzo zero" contro la frazione Guastra al minimo sospetto o movimento. Di conseguenza la messa in opera di postazioni militari nelle case coloniche lasciate disabitate per le conseguenze dell'attentato fece sì che la frazione diventasse terra di nessuno.
Filippo Di Tella