Intervista a Giovanni Pollice
Domanda: – Giovanni Pollice, lascio che sia lei a presentare la sua storia. Sappiamo che è figlio di emigranti molisani in Germania, per cui le chiedo come la sua storia personale abbia influito sulla scelta di impegno politico.
Risposta: – La vita da figlio di emigranti non è stata facile. A 12 anni raggiunsi mio padre che lavorava in Germania già da sei anni. La felicità di essere tornati vicini si trasformò presto in un trauma: non conoscevo nessuno, non sapendo la lingua non potevo comunicare né interagire. Fu questa la molla che mi spronò a imparare velocemente il tedesco e a capire il mondo nuovo in cui mi trovavo a vivere.
Mio padre, come tutti i lavoratori nella sua stessa situazione e le loro famiglie, alla loro venuta in Germania subirono discriminazioni umilianti e tremende. Nella stessa situazione era facile vedere persone che si chiudevano e non era cosa scontata trovare chi aiutasse i nuovi arrivati. Pur in situazioni di disagio estremo, io iniziai ad occuparmi dei lavoratori italiani e ad aiutarli come potevo, soprattutto nelle incombenze quotidiane dove una lingua così diversa dalla nostra poteva essere davvero un ostacolo a tutto. Li accompagnavo dal medico, negli uffici, dagli avvocati e così via. Il mio impegno sociale sorse così, dalla vita che conducevamo.
Appena ne ebbi l'età iniziai un tirocinio nell'azienda dove lavorava mio padre a Gernsbach, in quella formula di formazione professionale tipicamente tedesca in cui tre giorni erano di lavoro e due nelle aule della scuola professionale. Già nel corso del tirocinio mi sono adoperato in sede aziendale per i più deboli e a 18 anni sono stato il primo non tedesco a essere eletto come rappresentante dei giovani. Nel '74 divenni presidente della rappresentanza dei giovani in quella industria che contava 700 dipendenti. Fino al 1980 sono stato funzionario giovanile del sindacato industriale dei settori chimico, carta, ceramica e membro della commissione contrattuale del Land Baden-Württemberg. Dopo anni di corsi d'aggiornamento e lavoro, dopo la modifica della legge sullo statuto aziendale che permise ai non-tedeschi di ricoprire cariche direttive nel 1975 fui eletto membro del consiglio aziendale della summenzionata azienda, poi nel 1981 vice-presidente del consiglio aziendale a tempo pieno e presidente dei fiduciari sindacali nella stessa azienda.
Da lì in poi il mio impegno è sempre stato costante.
D: – Elenco velocemente i ruoli che ha coperto, un breve curriculum vitae per dare il giusto valore alla storia del suo operato:
1988-1994: direttore dell'ufficio centrale italiano della segreteria nazionale della confederazione dei sindacati tedeschi (DGB), Düsseldorf;
1994-1998: responsabile della sezione "Migrazioni" del dipartimento internazionale della segreteria nazionale sempre della DGB, Düsseldorf;
1998-2004: segretario politico del dipartimento "Lavoratori stranieri" della segreteria nazionale del sindacato industriale dei settori minerario, chimico ed energetico (IG BCE) Hannover, poi, fino al 2014, direttore del dipartimento "Migrazioni/Integrazione" sempre dell'IG BCE, Hannover;
dal 2004 membro del direttivo del consiglio interculturale tedesco, Darmstadt e membro del direttivo del consorzio addetto alla cura della cultura del settore minerario, Herne; dal 2006 co-presidente del consiglio interculturale tedesco a Darmstadt e, sempre nel 2006, candidato alle elezioni del Parlamento italiano, circoscrizione Europa;
dal 2008 presidente dell'associazione nazionale dei sindacati tedeschi contro la xenofobia, il razzismo e l'estremismo di destra "Non toccare il mio compagno - La mano gialla", Düsseldorf.
è anche socio fondatore e membro del direttivo di alcune associazioni italo-tedesche e cofondatore e membro del consiglio di amministrazione della fondazione per le settimane internazionali contro il razzismo.
R: – È evidente come per tutta la vita ho tenuto i contatti con il mondo del lavoro in Germania ma anche con i sindacati italiani.
D: – La sua è una storia importante riconosciuta con il conferimento, lo scorso anno, della Croce di Merito, una rarissima onorificenza assegnata dal Presidente della Repubblica Federale Tedesca al valore soprattutto per il suo impegno come Presidente dell'associazione "La mano gialla". Ci spiega di cosa si occupa la sua associazione?
R: – Non posso negare che la Croce al Merito mi abbia fatto un grandissimo piacere. Mi è stato detto che dal 1949, anno in cui fu creata, è stata conferita solo a circa lo 0,2% della popolazione tedesca.
La mano gialla è il nostro stemma: la scritta sulla mano significa "Non toccare il mio compagno". L'associazione nazionale fondata dal Movimento giovanile dei Sindacati Tedeschi esiste in Germania dal 1986. È una delle prime associazioni di questo genere. Essa ha origine in Francia dove fu fondata il 1984 con il nome: "SOS Racisme - Touche pas à mon pote". Trapiantata anche in Germania l'associazione è sostenuta dalla Confederazione dei Sindacati Tedeschi (DGB) e gli otto sindacati di categoria affiliati come pure dai circa 1800 soci sostenitori, tra cui ministri, deputati e altre personalità della società tedesca. Come soci sostenitori abbiamo anche il movimento giovanile del sindacato austriaco (ÖGB) in più un'azienda italiana di Milano ed una turca.
Io ne sono Presidente dal 2008. Insieme ai Sindacati Tedeschi e ad altre forze democratiche lottiamo contro la xenofobia, il razzismo e l'estremismo. Lavoriamo per una società umana che rispetti la diversità, l'integrazione e che crei pari opportunità e cultura. Il razzismo esiste purtroppo dovunque: quello contro gli italiani era più accentuato negli anni di prima immigrazione (1960-70), oggi è rivolto più verso i musulmani e i rifugiati.
Credo che l'impegno sociale sia l'elemento portante della società e continuerò sempre a lottare contro il razzismo e il populismo di destra e battermi per i diritti umani e la democrazia. Nel discorso di ringraziamento alla cerimonia del premio ho ribadito quello in cui credo: l'esempio. Ho esortato tutti i presenti a dare l'esempio sulla via dell'integrazione.
Moltissimi dei soci sostenitori dell'associazione lo diventano così, valutando il nostro operato, ascoltando quel che abbiamo da dire e comprendendo quanto sia fondamentale percorrere questa strada per creare una società più giusta.
D: – Le faccio ora una domanda più specifica: l'immigrazione nel corso dei decenni è cambiata o è un fenomeno che resta sempre uguale a sé?
R: – È cambiata moltissimo. Prima ad esempio l'immigrazione in Germania era puramente di manodopera ed era regolata secondo accordi bilaterali risalenti al 1955. Gli aspiranti erano raccolti a Verona, dove subivano tre giorni di visite mediche scrupolosissime: raggi, controllo ai polmoni, controlli di tutti i generi, perfino ai denti: se non ottenevi un certificato di salute e robusta costituzione non entravi. Era una trafila umiliante, ma allora era così, era la regola.
Invece ora abbiamo l'Europa unita, che è una grande risorsa, una conquista di grande valore. Ci si sposta senza problemi per cercare lavoro e conoscenza, le frontiere non ci fermano più. Con queste premesse però si è verificato un fenomeno diverso: l'immigrazione di manovalanza è sempre minore, a differenza del personale qualificato e specializzato che cerca qui una svolta per la propria carriera.
Poi ci sono i profughi, ma questa è un'immigrazione diversa. La costituzione tedesca garantisce il diritto di asilo a chi ne ha diritto e quindi si deve cercare di integrare queste persone, ma questa emigrazione "di fuga" ha fatto cambiare il modo di pensare della gente e il loro concetto di politica: in tutta Europa le forze xenofobe fomentano l'odio contro questo tipo di immigrati e parlano di invasione.
Fermiamoci a pensare un attimo però: la mia generazione ha vissuto e sta vivendo in un'Europa senza conflitti bellici. Noi viviamo in un buon periodo, pacificamente e in un contesto in cui possiamo crescere culturalmente. Certo i problemi esistono e vanno risolti, specialmente quelli sociali. Ma in generale possiamo dire che siamo fortunati e la gente, ed in modo particolare i giovani, dovrebbero capirlo. La destra invece fa leva sulle paure della gente. Non offre alternative, visioni di collaborazione, ma mina la fiducia. Cita Trump e Salvini e il loro: «Prima veniamo noi!».
Se non c'è unità e rispetto per le persone non si progredisce, ma per ottenerli bisogna educare la gente. Dobbiamo fare formazione politica nelle aziende e nelle scuole. Ad esempio, da poco abbiamo accordi con un'azienda chimica e una di trasporti per fare corsi di prevenzione dove formiamo i giovani e i professionisti. Ancor più questo andrebbe fatto nelle scuole.
D: – La nostra speranza sono i giovani quindi? Come per tutti i cambiamenti dobbiamo agire su di loro?
R: – Sì. Dobbiamo iniziare dalle scuole. Noi essendo un'organizzazione del sindacato, con i rappresentanti sindacali e i membri delle commissioni interne stiamo lavorando in questo senso sia nelle aziende che nelle scuole professionali, ma bisogna coinvolgere anche tutte le altre scuole perché se ne parli e si possa capire.
D: – Lei parla spesso di discriminazione tra i discriminati. È davvero possibile che chi è stato emarginato surclassi e odi chi vive ora la stessa situazione che loro hanno subito? Perché?
R: – Lo dico da sempre e la trasmissione di Gad Lerner "La difesa della razza" lo conferma ampiamente. Lerner al Bar Italia '90 e ai cancelli della Ford di Colonia parla con alcuni vecchi lavoratori italiani delle prime ondate migratorie e con gli operai di oggi: molti sono arrabbiati contro i nuovi immigrati. «Non vogliono fare sacrifici, non rispettano le regole, sono sfaticati: noi non eravamo così», dicono. È un dato di fatto che molti italiani di prima generazione in Germania detestino i nuovi immigrati. Che questa gente viene da guerre e fame non lo considerano; loro scappano per necessità. Io affermo sempre che nessuno lascia il proprio Paese con piacere se non ne è obbligato, neanche loro che vennero alla fine degli anni '50-inizi '60 lo fecero. Ma gli xenofobi qui fanno leva sull'esasperazione e molti di loro affermano di essere razzisti senza vergognarsene.
D: – Da cosa nasce tutto questo odio?
R: – Principalmente perché si sentono minacciati nella loro esistenza. I nuovi immigrati, i profughi sono potenziali concorrenti in più per chi è in cerca di lavoro o di case ad affitto economico. Non sono visti come colleghi o pari grado, ma come rivali. Seppure loro stessi abbiano subito o subiscano angherie, non sono solidali con i nuovi venuti e li trattano ancor peggio di quanto siano stati trattati loro. Per di più esiste da anni ormai un discorso mediatico e politico negativo sulla religione islamica e i musulmani. L'Islam viene visto soprattutto come pericolo, come fonte di criminalità e terrorismo. Questa visione stereotipata e negativa fa crescere le paure e fa sorgere l'odio, separa invece di unire la società e anche tra gli italiani ci sono questi risentimenti islamofobici.
Purtroppo, le difficoltà per alcuni ci sono anche in un Paese stabile come la Germania e questo non si deve nascondere, ma il messaggio che deve passare è che il passato non si deve ripetere. Gli immigrati di prima generazione devono ricordare come essi non siano stati accolti a braccia aperte e contribuire a migliorare la situazione per i nuovi arrivati.
Noi lotteremo sempre affinché i diritti umani vengano rispettati.
Monia Rota
Fonte: https://lombardinelmondo.org/.