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Viteliù - Promesse


Viteliu

Quella mattina Marzio Stazio si era alzato prima dell'alba come accadeva solo nei giorni dedicati ai viaggi o agli eventi eccezionali. La luce del sole, che iniziava appena a colorare l'orizzonte, prometteva di illuminare per lui una giornata memorabile e l'eccitazione non gli aveva permesso di dormire più a lungo. Il giovane si era sciacquato appena gli occhi con l'acqua fresca della conca e con gesti frettolosi aveva iniziato a cercare gli abiti nella semioscurità. Li aveva trovati facilmente lì, dove sua madre li aveva sistemati la sera prima; erano i suoi abiti nuovi adatti per montare a cavallo: il regalo più bello mai ricevuto. Fu preso da un'euforia difficile da controllare che raggiunse il culmine quando calzò gli stivali nuovi, fatti dal migliore artigiano di Roma. Si sentì come un semidio in grado di domare tutti i cavalli del mondo e di cavalcare persino Pegasus.

Non alto, ma robusto, un fisico non proprio latino il suo, di certo originale fra i giovani di Roma. Era forte e in salute. Anche bello; a sentire la governante di casa il più bel giovane di Roma. "Il mio dio greco" diceva di lui la madre Livia, "bello come una statua di Fidia". Erano queste le parole con le quali la donna aveva sempre rassicurato Marzio che fin da piccolo aveva domandato alla madre il perché della sua diversità dalla maggior parte dei suoi compagni di giochi. Capelli nerissimi e crespi, le sopracciglia folte e una barba che si annunciava precoce e ispida tradivano origini lontane dalla città dei sette colli e dalle genti della stessa campagna romana. I suoi erano lineamenti decisi, a tratti di una certa durezza, appena ingentiliti dalle attenzioni delle donne di famiglia. In questo il giovane sembrava somigliare a sua madre, una donna dall'aspetto fiero, gli occhi nerissimi e la pelle bruna. Originale e affascinante era invece il suo sorriso, che iniziava da un angolo solo della bocca per aprirsi e scoprire i denti bianchi; e poi quelle labbra carnose che piacevano tanto alle ragazze di Roma.

Da qualche tempo, Marzio sentiva sempre più espliciti e ammirati i commenti delle giovani donne. Le ragazze e le armi erano le sue passioni più sfrenate. Ma ce n'era un'altra ancor più forte che sembrava essere nata con lui: i cavalli. E oggi sarebbe successa la cosa cui teneva di più! L'addestratore Mikolaus, lo schiavo macedone che nel suo paese era stato un famoso maestro di equitazione, gli avrebbe permesso finalmente di montare Arco, il cavallo acquistato per lui dal padre nell'autunno precedente. Grazie al suo fisico atletico e alle gambe forti, Marzio risultava abile in vari sport, ma era nell'equitazione che eccelleva, sovrastando tutti i suoi coetanei. Sui cavalli sembrava essere nato. Arco era il sogno che si era realizzato: il più bel soggetto che egli avrebbe potuto desiderare. Il mantello baio scuro, la criniera folta e lunghissima d'un nero corvino, i colori che in un cavallo Marzio aveva ammirato fin da bambino, insieme alla maestosa incollatura facevano del giovane stallone una delle cavalcature più belle tra quelle possedute da qualunque giovane delle famiglie patrizie di Roma. Un animale di rara bellezza, fiero nell'aspetto e dal gran temperamento ora vicino a compiere i tre anni e dunque nell'età giusta per essere montato. Proveniva dai monti della Tolfa, nella Tuscia inferiore, da un allevatore che importava stalloni africani dalla Cirenaica per accoppiarli alle rustiche fattrici di quella terra. In pochi anni il suo allevamento era diventato il più noto a Roma; molti milites equites del rinato esercito repubblicano si vantavano di aver acquistato un cavallo da lui. Arco era il più bello mai visto da molto tempo a Roma. Durante le lunghe giornate dedicate alla doma e all'addestramento dello splendido animale, Marzio aveva potuto leggere chiaramente l'invidia anche sui volti degli amici più stretti. Suo padre aveva ricevuto anche diverse allettanti richieste di acquisto, sempre negate soprattutto per la ferma opposizione del giovane. Da giorni aveva insistito per poterlo cavalcare. E il giorno precedente, nonostante l'addestramento non fosse completato, Mikolaus aveva finalmente ceduto. L'avrebbe montato!

Il primo pensiero di Marzio, non appena sveglio, era dunque corso veloce come il vento alla fattoria appena fuori le mura di Roma che custodiva quel sogno marrone scuro vestito da cavallo. Un pensiero fisso che lo accompagnò all'uscita della stanza avvolta ancora dalla penombra. Il giovane pregustava già le "parate" cui avrebbe dato vita in groppa a quello splendore davanti alla nobiltà romana, alla gioventù e soprattutto davanti a lei, Lucilla Cornelia Rufa! Un tuffo al cuore lo distolse improvvisamente dai pensieri sul destriero. Quel nome... quel volto! Marzio si fermò solo un attimo, lo sguardo perso nell'immagine che si era formata nella sua mente.

Quasi aveva dimenticato l'appuntamento! Egli non aveva dormito granché quella notte, come altre notti durante quella settimana, anche per un altro motivo. Lucilla Cornelia alla quale si era dichiarato un mese prima e che da qualche giorno aveva accettato la sua corte, oggi lo avrebbe incontrato con la promessa del primo bacio. Si erano già visti diverse volte parlando a lungo e guardandosi tutto il tempo negli occhi. Pochi giorni per la nascita di un nuovo amore. Un sentimento travolgente, di un'intensità mai provata da entrambi. Per tutti e due era il primo innamoramento e come ogni amore che nasce sulla terra, era fatto di sorrisi, sguardi e rossori di lei; i batticuore, le carezze tentate del ragazzo e i baci negati da Lucilla, le promesse, i giuramenti, i sogni e le speranze e le paure di ogni coppia innamorata. Le mani che si sfioravano furtivamente ogni volta che, passeggiando, pensavano di essere al riparo da sguardi indiscreti. A far da complice era la splendida primavera di Roma nella quale i tepori, profumi e colori sembravano proprio invitare tutti gli esseri all'amore. Erano due fiori che sbocciavano sul sangue e sulla violenza del recente terribile passato di Roma. Questo pensava persino la nutrice della ragazza sorvegliante, spesso impaziente, degli incontri. Era il parere anche della madre di lei che, segretamente informata dall'anziana serva, non si era opposta a quell'amore nascente. Del resto Marzio apparteneva a una buona famiglia della nuova borghesia di origine italica, classe media di quella che era ormai la città più potente del mondo e che dopo la fine delle guerre intestine aveva ripreso ad accettare nel suo seno nuovi ricchi, nuove lingue e culture.

Marzio avrebbe dunque incontrato Lucilla Cornelia nel pomeriggio di quel giorno di primavera e l'avrebbe baciata! Il pensiero lo scosse. Si affrettò a uscire da casa, non senza passare prima a dare un bacio sul viso dell'adorata madre Livia, il cui sorriso, nell'ombra della stanza, egli non vide.

Uscito per strada il giovane vide a levante il cielo colorato da un'aurora particolarmente intensa, rossa, da sembrare il riflesso delle sue due passioni. Si diresse verso Porta Capena già affollata dal via vai dei commercianti intenti al rito dedicato a Mercurio. A poca distanza dalla fonte sacra al dio alato egli corse incontro a Ullovidio Celto, il giovane che aveva conosciuto da ragazzino, fin dai primi mesi della sua permanenza a Roma e la cui amicizia lo aveva aiutato ad ambientarsi in una città completamente diversa dalla cittadina di provincia dove aveva passato la sua prima infanzia. Un ragazzone, corpulento e tuttavia agile, più alto di una spanna rispetto a lui. I capelli chiari e gli occhi azzurri ne tradivano l'origine gallica: dei Galli Senoni aveva, oltre al fisico, anche la pelle chiara, la forza e il carattere generoso e gioviale. Era figlio di un possidente della Gallia inferiore che aveva seguito Siila come militare prima in Oriente e poi nella guerra civile contro Mario. Per i suoi servigi era stato ampiamente ricompensato dal Dittatore durante il cui dominio aveva deciso di trasferirsi a Roma. Lì aveva tentato con un certo successo la scalata sociale approfittando anche dei larghi vuoti lasciati dall'era delle proscrizioni.

Te la stai facendo addosso. Confessa! gli urlò Ullovidio in faccia non appena lo vide. Quante risate mi farò quando quel diavolo scuro ti avrà sbattuto col culo a terra... Ah ah ah e giù una sonora risata e una possente pacca sulle spalle di Marzio che si piegò sulle gambe, ma reagì ridendo.

Tutta invidia disse soltanto, mentre abbracciava l'amico e si toccava la spalla dolorante.

I due giovani uscirono dalla città con passo svelto, a tratti correndo.

Arco non mi farà del male disse Marzio serio, non è un animale cattivo. Non ha opposto alcuna ribellione alla doma. E focoso sì, ma non è cattivo...

C'è voluta tutta la bravura di Mikolaus a imbrigliare il fuoco che ha dentro quel cavallo ribatté l'amico nel suo latino impastato dal rotondo accento senone, ma ha anche lui la sua dignità. Quando si accorgerà che vogliono farlo montare da un asino... vedrai che sgroppate! E tu... che salti! Ah ah ah!

Ancora una sonora risata che contagiò anche stavolta Marzio.

A proposito di monta, oggi è doppia eh? Stalloni e giumente, sai che divertimento!

E giù una pacca sulla schiena più forte della prima. Marzio questa volta reagì male.

Lascia stare Lucilla, Ullovidio! Su di lei non voglio che scherzi, te l'ho detto mille volte! Quando fai così, diventi odioso!

Scusa, scusa! Ma il risolino rimasto sul viso del ragazzone non sapeva certo di pentimento. Affrettarono ancor di più il passo, mentre le mura della città erano già distanti alle loro spalle.

Due giovani della nuova Roma, Marzio e Ullovidio, accomunati dal fatto di non essere di stirpe latina. Forse proprio per questo avevano immediatamente legato quando si erano conosciuti: era successo sette anni prima, appena dopo l'arrivo di Marzio a Roma con la sua famiglia. Anche Ullovidio aveva dovuto superare lo stesso trauma: trovarsi improvvisamente in quella città da straniero. Era bastato poco tempo e ora erano due giovani Romani nel pieno fulgore della loro gioventù. Come molti dei loro amici si sentivano, ed erano, dei privilegiati al centro del mondo. La vita sorrideva, tutto concorreva ad alimentare l'ottimismo e la voglia di vivere. Marzio in particolare si sentiva, quella mattina, il ragazzo più fortunato della terra. Il fato, sotto le doppie sembianze di uno splendido stallone baio scuro e del viso bellissimo della sua innamorata, pareva volesse sorridergli all'infinito.

Volarono verso la masseria del fattore cui erano affidati i campi e gli animali della famiglia degli Stazi. Vi giunsero in pochi minuti. La casa e le stalle li accolsero già rischiarate dal sole che nasceva dietro le colline a est. Mikolaus era nel ricovero ad accudire Arco. Li salutò con un rimprovero.

Ho dato io l'avena e il fieno al tuo cavallo esclamò rivolto verso Marzio. Se aspettava te, sarebbe morto di fame. Come al solito!

Ma... ma Mikolaus, il sole non è ancora spuntato balbettò il giovane. E poi, Ullovidio...

Eh, no! Non provare a incolpare a me intervenne l'amico. Io ero a Porta Capena che era ancora buio...

Quando sarai in guerra, non ci sarà tempo di dormire! interruppe Mikolaus duro, sempre rivolto a Marzio. E se il cavallo non sarà stato nutrito a sufficienza ben prima dell'alba, tu sarai solo un uomo che morirà prima degli altri!

Il tono era deciso, lo sguardo fisso negli occhi del ragazzo. L'addestratore macedone faceva bene il mestiere per cui era mantenuto in vita dalla famiglia degli Stazi e conosceva il suo dovere. Educare il giovane all'uso del cavallo in guerra voleva dire imporgli regole ferree, comportamenti che tutti i popoli che usavano gli equini nel combattimento conoscevano bene. Lo schiavo sapeva di essere spesso più severo di quanto fosse necessario, ma sapeva anche bene quanto ciò fosse necessario con gli adolescenti benestanti che gli erano affidati. Ragazzi sempre troppo inclini a considerare il cavallo come un mezzo di trasporto o simbolo dello status sociale, senza diritti e senza anima.

La salute del tuo cavallo deve starti più a cuore che non la tua salute disse senza ammorbidire affatto il tono e guardandolo sempre in viso. In battaglia la forza del tuo cavallo è la tua forza. Il benessere di Arco sarà la tua salvezza, non lo capisci? Quando sarai ferito e inseguito, la tua vita dipenderà solo da quanto veloce e a lungo saprà correre il tuo destriero.

Staccò lo sguardo dal ragazzo per togliere il secchio dal muso dello stallone che invece avrebbe voluto continuare a pulire con la lingua ciò che di avena e crusca bagnata era rimasto nel fondo. Allungò il collo fin dove potè poi rinunciò, e le sue attenzioni si rivolsero verso il fieno nella mangiatoia. Scartò con il muso a destra e a sinistra le parti meno golose e affondò la bocca al centro del mucchio fino a raggiungere i semi sulla pietra della mangiatoia. La criniera folta e corvina copriva per intero la testa abbassata dell'animale.

– Arco è il più bel soggetto che io abbia mai domato – riprese con calma Mikolaus, – e dire che ne ho visti migliaia di cavalli nella mia stalla. Devi saperlo meritare ragazzo! Dimostrami che sei alla sua altezza! – Lo guardò di nuovo dritto negli occhi porgendogli brusca e striglia. Marzio e Ullovidio, in silenzio, spazzolarono a lungo il pelo dello stallone.

– Tutto comincia dalla pulizia del cavallo – diceva sempre Mikolaus – e continua dalla confidenza che si deve avere con lui. Quasi tutti possono montare un cavallo, ma pochi riescono ad averlo come amico della vita. Confidenza, fiducia, rispetto. Il cavallo non ti deve temere, ma amare; deve vederti come il suo protettore e la fonte della sua sicurezza.

Le parole dell'addestratore risuonavano nella mente di Marzio a ogni colpo di striglia.

– Devi essere colui che gli porta il cibo, lo massaggia con la brusca e lo fa star bene. Devi essere il rifugio delle sue paure, chi lo accarezza nei momenti di tensione. Solo così si fiderà di te, solo così potrai chiedergli di non arretrare davanti al fuoco, alle grida e agli orrori della battaglia. Solo conquistando la sua fiducia egli si scaglierà per te contro il muro di lance della fanteria per scompaginarne le fila. Il tuo cavallo saprà ripagarti, sarà mille volte più generoso di quanto tu non lo sia stato con lui e correrà fino a farsi scoppiare il cuore quando si tratterà di salvare la tua vita.

– Devi passare più tempo con lui che con le ragazze e con i tuoi amici! – disse sottovoce Marzio rivolto all'amico come ripassando ad alta voce una lezione del maestro che si era allontanato di poco. – Mikolaus forse ha ragione, ma tra Arco e Lucilla la scelta non è facile, non trovi? – Risero di gusto, ma per pochi secondi. Tornarono subito seri, continuando le operazioni di preparazione che durarono ancora diversi minuti. A un certo punto l'addestratore decise che fosse sufficiente. Una pacca sulla spalla del cavallo e un'altra su quella di Marzio furono il segno che la pulizia era finita e che era il momento delle briglie.

– Un cavallo può portarti fino ai confini del mondo se saprai capirlo e rispettarlo –, insistette Mikolaus che impiegava ogni momento della presenza del giovane accanto a Arco per ripetere i suoi consigli senza smettere neanche un momento di insegnargli qualcosa. – Devi osservarlo sempre, cercare di capire ogni giorno come sta dai segni che il suo fisico sa darti.

I due giovani si scambiarono un fugace sorriso d'intesa sempre attenti a non farsi vedere da Mikolaus per il quale nutrivano il massimo rispetto conoscendone il valore, ma anche la severità.

– Il pelo lucido è sintomo di salute, l'opaco ti dirà che ha problemi, anche seri. E lo zoccolo? Osserva lo zoccolo... – Mikolaus invitò Marzio a sollevare la zampa posteriore destra del cavallo e a guardare la parte inferiore del piede. – Non deve crescere in eccesso e sotto non deve essere mai nero. Il nero vorrà dire che è marcio, lo saprai anche dalla puzza. Allora dovrai provvedere a una stalla più asciutta e a una lettiera con la paglia pulita e più abbondante. Un cavallo senza piedi sani è inservibile.

– Maestro – disse Marzio lasciando la zampa e avvicinandosi alla testa dello splendido animale, – è vero che i cavalli parlano con le orecchie?

– Osserva sempre attentamente il tuo cavallo – continuò Mikolaus come non avesse ascoltato la domanda, – guarda tutto di lui. Stai attento a che il suo occhio sia sempre vivace, e che la testa sia sempre ben portata. Uno stallone deve tenerla sempre alta e fiera. Diversamente è cattivo segno. Se mangia malvolentieri, apri la sua bocca e osserva che non abbia denti da limare o punte di biada nelle gengive... Impara a guardare il tuo cavallo, ragazzo. Amalo e Arco ti porterà fino ai confini del mondo, ti ho detto. Sì, i cavalli parlano e non solo con le orecchie. Ma ora è tardi, preparati a montare e non farmi pentire di essere il tuo maestro.

Finalmente aveva sorriso.

Marzio e Ullovidio cercarono a lungo di far indossare il morso ad Arco, ma il giovane cavallo non voleva saperne di accettare il ferro in bocca né di smettere di mangiare il fieno. A stento i due riuscivano a fargli alzare la testa che ad ogni tentativo rituffava nel mucchio odoroso. Era la prima volta che avevano a che fare con un giovane stallone dal carattere tanto diverso dai cavalli anziani accuditi fino a quel giorno. Mikolaus li guardava da lontano senza intervenire.

Fu Ullovidio a dare i primi segni d'impazienza. Afferrò con forza la testa del cavallo e tentò di premere nervosamente il ferro contro i denti serrati dell'animale, che scosse violentemente il capo e fece cadere morso e briglie a terra. Il ragazzone perse la pazienza e fece per alzare una mano sul cavallo. Fu allora che lo schiavo macedone intervenne.

– Fermati! Non è così che devi fare! – gridò Mikolaus avvicinandosi in fretta. – Mai picchiarlo! È un cavallo giovane!

Guardò Ullovidio fisso negli occhi, lo sguardo duro a pochi centimetri di distanza dal suo volto.

– Non provarci mai più! Così lo rovini!

Si calmò.

– Mai, il dolore mai. In questo modo il morso gli ricorderebbe una sofferenza fisica e una punizione. Così gli sarà sgradevole per sempre. Non otterrai che lotte ogni volta che dovrai farglielo indossare! E sarà sempre peggio. Dai a me.

Lo schiavo prese le briglie e si allontanò di pochi metri. Tornò con un contenitore di terracotta. V'immerse il dito più volte e spalmò il miele così prelevato sul metallo del morso. Si avvicinò a Arco che alzò docilmente la testa e annusò il ferro. Leccò il miele, ma non aprì la bocca per accettare l'imboccatura. Allora Mikolaus introdusse dolcemente un pollice nella piega della bocca del cavallo che si aprì così da far entrare il morso. Per nulla turbato il puledro prese a masticarlo leccando contemporaneamente con la lingua il resto del miele.

– Nessuno ha diritto di costringere un altro essere vivente a fare qualcosa con la violenza. Nessuno! – mormorò l'istruttore mentre completava l'operazione facendo passare le cinghie della testiera dietro le orecchie agganciandole alle rispettive fibbie. Carezzò il cavallo al centro della testa.

– Così è la dolcezza che ricorderà ogni volta che gli presenterai il morso – disse, allontanandosi con il puledro che lo seguì docilmente fuori dalla stalla fino al rettangolo recintato.

I due ragazzi si guardarono, stupiti e ammirati. Poi uscirono dalla stalla, ma solo Marzio entrò nel recinto. Era ormai giorno fatto e l'aria era carica di tutti i profumi della primavera di Roma. Per precauzione l'istruttore aveva sistemato le giumente in pascoli molto distanti in modo che il giovane stallone non ne fosse distratto o innervosito.

Marzio aveva sempre dimostrato una grande capacità nel cavalcare. "Ma Arco è di un altro mondo" lo aveva sempre ammonito maestro Mikolaus. – Perciò stai attento – gli disse ora, poco prima di aiutarlo a salire – non strafare. Devi entrare in sintonia con lui, stare calmo e trasmettergli tranquillità e sicurezza. Non trattenerlo troppo in bocca, guidalo più con le gambe, come ti ho insegnato, che con le redini. E usa la voce, come mi hai sempre visto fare con lui. La voce è importante, lo rassicura e lo comanda. È un cavallo buono, ha accettato l'uomo, ma è giovane e ha tanto sangue nelle vene. Con la forza non otterresti che reazioni pericolose, soprattutto per te. E non usare maniere brusche. Rovineresti il mio lavoro di mesi. Sali!

Gli sostenne la gamba sinistra e Marzio salì agilmente in groppa. Il cavallo volse la testa all'indietro fino a odorare una delle gambe del suo cavaliere, il secondo essere umano di cui sperimentava il peso sulla schiena. Marzio sentì il calore e la forza di quel corpo vigoroso fra le gambe. Sorrise, con quella sua strana maniera di farlo, con il sorriso che partiva da un solo angolo della bocca. Era senza sella e senza coperta così come il maestro aveva voluto. Fu colto da una scarica di emozione mista a timore reverenziale e strinse istintivamente le gambe alla ricerca di stabilità. Alla stretta il cavallo fece due rapidi passi avanti quasi volesse fuggire da qualcosa, tanto che l'istruttore fece appena in tempo a fermarlo prendendolo per la cavezza.

– Piano, ragazzo, piano. Lui è sensibile, ha sangue. Una stretta così vuol dire farlo partire al galoppo... piano.

Mollò la cavezza e lasciò a Marzio il comando dello stallone che iniziò a muoversi lungo la staccionata del rettangolo. Attimi d'emozione intensa per il giovane che non stava più nella pelle. Guardò Ullovidio con un sorriso fra i più larghi di tutta la sua vita, poi riprese a concentrarsi su Arco e le sue reazioni.

– È stupendo maestro, è docile ai comandi, risponde come nessun altro!

– È un cavallo superiore a tutti quelli che tu ed io abbiamo conosciuto – disse Mikolaus con soddisfazione, – un cavallo speciale, perciò trattalo bene. E non deconcentrarti!

Arco rispondeva ai comandi che il suo cavaliere gli impartiva seguendo gli ordini di Mikolaus rimasto al centro del recinto. Ad ogni ordine seguiva una risposta positiva, perfetta. E l'entusiasmo di Marzio cresceva. Tutto gli sembrava più facile che con gli altri cavalli fino ad allora montati. L'istruttore comandò il trotto; alla richiesta di Marzio il cavallo eseguì con un'eleganza rara e movimenti rotondi e sontuosi. Marzio non credeva a ciò che sentiva sotto di sé: potenza ed eleganza in un unico essere. Ullovidio appoggiato alla staccionata aveva gli occhi sgranati. Il giovane partecipava sinceramente alla gioia dell'amico del cuore stupito dalla bellezza di quella scena. Entrambi non avevano sentito e visto nulla di simile. Altri esercizi e molte figure seguirono per oltre mezz'ora di lavoro e di entusiasmo crescente per Marzio. Mikolaus come sempre era attentissimo e correggeva il minimo errore del giovane. In cuor suo, aveva anche la conferma delle eccezionali doti naturali di Marzio come cavaliere: il miglior allievo di tutta la sua carriera. Ma questo non glielo avrebbe mai detto.

– Maestro, posso farlo galoppare? – chiese a un certo punto il giovane il quale, nonostante la fatica, non stava più nella pelle.

– No, per oggi può bastare così. Le cose vanno fatte gradatamente.

– Ma maestro Mikolaus! Tutto è andato bene, Arco mi ha accettato. Lo hai preparato così bene! Vedrai che non ci saranno problemi, anche al galoppo. Ti prego, solo due giri di campo, ti prego...

Mikolaus esitò, stava per pronunciare ancora il suo no quando fu Ullovidio a dire la sua.

– Dai Mikolaus, facci vedere come galoppa Arco. Non vorrai privarci di un simile spettacolo! Cosa vuoi che succeda, sono entrambi tuoi allievi no?

– Va bene – mormorò il macedone solleticato nel suo orgoglio – ma solo due giri. E adagio, capito? Per chiedergli il galoppo dagli i comandi giusti. Adagio e con calma. Potrebbe sgroppare. In quel caso stringi le gambe e afferra la criniera e allenta la pressione. Solo due giri, piano. Vai.

Marzio sorrise a mezza bocca e riportò il cavallo lungo la staccionata. Passo, trotto e finalmente diede il comando del galoppo; iniziò un movimento non troppo veloce ma rotondo e cadenzato, da cavallo di razza. La testa incappucciata, gli occhi fissi in avanti, orecchie dritte e il nero della criniera che fluttuava nell'aria. L'entusiasmo del cavaliere si trasformò in euforia e mentre Ullovidio applaudiva ammirato, Marzio piantò con forza i talloni contro il costato di Arco che con un nitrito appena soffocato prima abbassò e scosse il capo accennando a una sgroppata poi aumentò di scatto la velocità. Il galoppo controllato si era trasformato in una corsa sfrenata.

– Fino ai confini del mondo! – urlò il giovane facendo spaventare il cavallo che sgroppò ancora e prese a galoppare con maggior foga. Mikolaus infuriato urlava al giovane di fermare il cavallo. – Vi farete male, disgraziato, fermati! – Inutilmente. Marzio non lo sentì neppure. Diresse la testa del cavallo contro la staccionata dalla parte opposta del recinto e gridò: – E adesso vediamo come salti, figlio del vento! – dando ancora un colpo di tallone nelle costole di Arco. Nella sua corsa il giovane stallone non esitò un attimo: puntò l'ostacolo e, criniera al vento, lo saltò con una potenza tale da lasciar senza fiato anche lo sbigottito Mikolaus. La bocca di Ullovidio era aperta al massimo della possibilità delle sue mascelle.

– Ullovidio, è come volare! – urlò ancora Marzio ancor prima che la sua cavalcatura posasse gli anteriori a terra dall'altra parte della staccionata. Non appena ciò accadde, il cavallo prese a sgroppare così forte, ripetutamente, tanto da sbalzare di groppa il suo cavaliere. Marzio fu proiettato in aria e ricadde battendo violentemente la schiena a terra a parecchi metri di distanza, mentre il cavallo proseguiva da solo la sua corsa, lanciando ripetuti calci al vento con entrambe le zampe posteriori.

Atterrito, Mikolaus prese a correre verso l'allievo che non accennava a rialzarsi. Il corpo del giovane sembrava preso da spasmi. Ullovidio aveva fatto lo stesso e giunse per primo addosso a Marzio che, faccia all'aria, rìdeva senza sapersi trattenere.

– È stato proprio come volare... – ripeteva sbellicandosi dalle risate. Ullovidio si riprese dallo spavento, ma non fece in tempo a insultare l'amico che arrivò Mikolaus. Questi, vista la scena, s'infuriò davvero, e nerbo alla mano, fece per frustare il ragazzo ancora disteso. Istintivamente Marzio si coprì il volto aspettandosi il colpo, ma la frustata si abbatté, violenta, a terra a pochi centimetri dalla sua spalla. Mikolaus era fuori di sé dalla rabbia. Continuava a percuotere il terreno con il nerbo gridando incomprensibili frasi in greco. Certamente insulti e parolacce.

– Sei un incosciente, un pazzo, uno scellerato! – urlò finalmente in latino. – Avresti potuto ucciderti. E rovinare per sempre quell'animale che non meriti! Non lo monterai più, capito? Mai più!

Era furioso. Marzio aveva temuto davvero di essere battuto dallo schiavo macedone; in quel momento si rese conto che lo avrebbe meritato. Bianco in viso, Ullovidio era rimasto tutto il tempo senza parole.

– Adesso vai a riprendere quel cavallo, se ci riesci. Vai, incosciente pazzo di un giovane romano!

Marzio si rialzò guardandosi intorno. Il cavallo era sparito. Forse lo aveva perso per sempre. Pensò con terrore a suo padre e all'inevitabile, dura, punizione che gli sarebbe capitata. Guardò Ullovidio che gli indicò la direzione nella quale Arco era corso ventre a terra. Percorse un miglio, poi due, accompagnato dall'amico che non sapeva se ridere o essere seriamente preoccupato. Infine videro Arco che pascolava non lontano da una fattoria. A pochi metri di distanza, in un recinto, alcune giumente osservavano attentamente il giovane stallone baio. Una di esse nitriva nervosa invitandolo con movimenti espliciti della parte posteriore del corpo. Era in calore.

– Eccolo là – disse Ullovidio sollevato, – tale e quale il suo padrone. Si è fermato dalle femmine –. Scoppiò in una risata fragorosa. Rise molto di meno Marzio che, tra l'altro, ora accusava un forte dolore al fondoschiena e a una spalla. Cercò di avvicinarsi al suo cavallo ma questi, a ogni tentativo, fuggiva girando in circolo, coda alzata, collo e testa portati con fierezza. Il rumore di zoccoli e i nitriti avevano intanto attirato l'attenzione del contadino che abitava quella masseria. Alla scena, l'uomo chiamò Ullovidio.

– Fategli vedere questo – disse al ragazzone tendendogli un secchio con un po' di avena dentro – e forse riuscirete a prenderlo.

Marzio capì. Preso il secchio, iniziò a chiamare Arco in maniera sommessa alternando le parole a un lieve fischio. – Tieni bello, dai. Vieni. Vieni, Arco su...

– E non guardarlo negli occhi! –, gridò da lontano il contadino evidentemente esperto di cavalli. Prima intimorito poi sempre meno nervoso, Arco fece avvicinare il giovane a pochi metri.

– Ora voltagli le spalle e aspetta che si muova lui; mostragli sempre il secchio – disse ancora l'uomo sempre rivolto a Marzio. Il giovane eseguì. Non passò che un minuto e lo stalloncino si mosse verso il suo giovane padrone. Giuntogli vicino affondò il muso nel secchio dell'avena. Marzio lo prese dolcemente per la cavezza lasciandolo mangiare.

– Che fellone – disse Ullovidio scuotendo la testa, ma rincuorato, – una così sontuosa bestia che si gioca la libertà per un pugno di biada! No, in questo non ti somiglia affatto!


Nicola Mastronardi




 

Fonte: N. Mastronardi, Viteliù. Il nome della libertà, Itaca, Castel Bolognese 2012.

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