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Voci di guerra


Sant'Angelo del Pesco
Immagini di S. Angelo del Pesco distrutta dalla guerra.

I prigionieri del campo di concentramento di Sulmona, abbandonati a se stessi, fuggono. Molti passano alla spicciolata per Sant'Angelo del Pesco diretti verso sud dove le truppe alleate stanno avanzando. Giorno per giorno, io, Angela Preziosi e mia sorella Giuseppina, li attendiamo e li soccorriamo dando loro dei viveri. Un giorno arriva un prigioniero malato, è stremato, sta male. Lì vicino c'è una masseria, lo facciamo distendere sulla paglia e gli facciamo capire che saremo tornate presto. Andiamo a casa per chiedere a nostro padre Luigi Preziosi se possiamo portarlo in casa perché possa riprendersi. Egli, dal cuore aperto a tutti, acconsente anche se conosce il rischio che corre.

Di notte noi torniamo a prendere il prigioniero e lo facciamo entrare in casa dalla parte posteriore che dà sulla campagna e nessuno se ne accorge. Lo facciamo rifocillare, gli diamo biancheria e indumenti civili e lo accompagniamo in camera. Si commuove, si inginocchia e resta raccolto in preghiera. Poi andiamo a nascondere, sotto un mucchio di pietre, ma ben protetti, la sua divisa e i suoi documenti per poterglieli restituire in seguito, perché se ripreso con i documenti durante il tentativo di raggiungere gli alleati, sarebbe stato considerato ancora prigioniero, altrimenti sarebbe stato fucilato perché considerato una spia.

Resta in casa fino a quando non arriva la prima pattuglia tedesca, su potenti motociclette, venuta per fare un giro di perlustrazione e requisire le case. La sera stessa facciamo uscire il prigioniero e lo nascondiamo in un fienile. Dopo pochi giorni arrivano molti tedeschi in ritirata, occupano altre case e nella nostra casa si stabilisce il comando. I tedeschi occupano le stanze dell'ultimo piano che sono libere e il salone che ha un grande tavolo intorno al quale si possono riunire e discutere piani di guerra. A mio padre, segretario comunale, viene rilasciato un lasciapassare.

Un giorno i tedeschi portano a casa un soldato molto giovane che sta molto male. Mia madre gli prepara il brodo, il latte con il miele e dice a me e Giuseppina di fargliene ingoiare un po' e di non lasciarlo solo. Si chiama Gunder. Invoca la mamma, lo confortiamo con una carezza, un bacio e rispondiamo: «Ja Gunder, ja» per dargli l'illusione della presenza della mamma. Strappato ai suoi affetti, ai sogni della sua giovinezza, scaraventato fra gli orrori della guerra, lo portano via a morire chi sa dove. E ci chiediamo: perché la guerra? A che cosa serve la guerra se semina per gli uni e per gli altri solo distruzione e morte?

 

Intanto la presenza del prigioniero nel fienile diventa pericolosa, e di notte lo portiamo provvisoriamente in casa di Antonio Di Lucente fu Carmine in attesa di poterlo trasferire altrove. Proprio durante questo nuovo trasferimento, una sentinella tedesca, sentendo dei passi nella notte, intima l'alt. Mio padre dice al prigioniero di fermarsi e di nascondersi e va verso la sentinella, fa vedere il lasciapassare e la sentinella lo lascia andare, così egli riesce a portare il prigioniero alla "Cioppa" dove rimane nascosto per un po' di tempo.

La situazione diventa sempre più pericolosa e il prigioniero viene portato in un altro casolare lì vicino. Alcuni contadini portano lì le loro mucche per nasconderle ed evitare che vengano prese. Un giorno passano di lì i tedeschi, portano via tutte le mucche e lasciano il prigioniero pensando, forse, che fosse il propietario delle mucche.

A Sant'Angelo arrivano altri tre prigionieri. Pensando di aiutarli alcuni santangiolesi danno loro indumenti civili ma bruciano le loro divise e i loro documenti. Faccio sapere che posso accompagniarli dov'è l'altro prigioniero e che sarei passata a prenderli. Qualcuno segnala ai tedeschi la casa dove si trovano i prigionieri. I prigionieri vengono presi e portati via. Chiedo ad un ufficiale dove sono stati portati e mi risponde: «Caput, nix document, nix uniform, spie, spie caput».

Quel giorno stesso arrestano mio padre e il podestà Eugenio Di Ninno e incominciano a ricercare l'altro prigioniero di cui era stata segnalata la presenza. I tedeschi incominciano a girare per il paese con i mitra spianati. Sul Colle della Lama fermano Nicolino Di Giulio e, scambiandolo per il prigioniero, vogliono fucilarlo. I figli gli gridano, piangono e si raduna la gente. I tedeschi capiscono che è uno del luogo e lo lasciano libero. I tedeschi continuano a cercare l'altro prigioniero. Mia madre si dispera e mi dice: «Ti fucileranno». Il prigioniero non viene trovato. Mio padre e il podestà vengono rilasciati.

 

Ci arriva la notizia che a S. Luca, nel rifugio dell'eremita, vi sono diversi prigionieri alleati fuggiti anch'essi dal campo di concentramento di Sulmona. Insieme a Silvia De Palatis decidiamo di portare loro dei viveri.

Il rifugio si trova a circa una quindicina di chilometri da Sant'Angelo, la strada è tutta in salita. Riempiamo una valigia di viveri e ci avviamo. La valigia è pesante e la porta Silvia in testa. Il marito è prigioniero e spera che qualcuno aiuti anche lui. Quando arriviamo alla valle troviamo un'autocolonna tedesca ferma lungo la strada. Ci fanno cenno che possiamo passare. Fra gli automezzi c'è anche un pieno di giovani napoletani che ci pregano di portare loro delle sigarette, ma noi non ripassiamo più di lì.

Arriviamo a S. Luca e troviamo diversi prigionieri neozelandesi in divisa. Non avevano nulla da mangiare e si commossero quando videro ciò che avevamo portato loro, ma più di tutto il rischio che avevamo corso perché essi, che avevano un cannocchiale, da sopra il campanile della chiesetta, ci avevano visti passare in mezzo all'autocolonna tedesca. Questi prigionieri venivano aiutati anche dai fratelli Fiadino di Capracotta. Una spia li accusò e i tre fratelli furono arrestati e condannati a morte dal tribunale militare tedesco.

Mentre venivano riportati a Capracotta, uno dei tre fratelli balzò dalla camionetta e riuscì a dileguarsi. I fratelli Gasperino e Rodolfo Fiadino furono portati in località "Sotto il Monte" di Capracotta e furono fucilati alla presenza del parroco don Leopoldo Conti il quale si era offerto per sarvarli. I prigionieri neozelandesi erano in divisa e furono ripresi come prigionieri e si salvarono.

Joseph Forster, che aveva ricevuto molte cure da me e dai miei, dopo la guerra, segnalò all'Alto Comando Inglese il nostro operato ed il generale in capo, Alexander, ci fece avere un attestato.


Angela Preziosi

 
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