Caro Federico, solo l'affettuosa insistenza dell'amico Giuseppe Tabasso mi ha convinto a rinnovare l'ultimo dolore che la vita mi ha inflitto.
Non mi unirò ai colleghi, agli estimatori, ai rappresentanti delle Istituzioni che hanno avuto - nel ricordarti - parole di stima, ammirazione e affetto per il contributo che hai dato ai principi di libertà, di giustizia e di rigore morale. Non siamo abituati agli elogi tra familiari, ma solo a tenerci per mano nel rispetto dei ruoli reciproci. Sicché da quando mi hai lasciato, solo superstite della famiglia di origine, tocca a me far scorrere i fotogrammi dei ricordi e diradare la nebbia che "svela certe cose del passato". Rivedo così gli anni felici della fanciullezza e dell'adolescenza passati tra il verde delle campagne e dei frutteti di Larino, tra le escursioni sulle "rocce" di Capracotta e di Roccaraso, o al sole non malato e nell'acqua cristallina del mare di Termoli, là dove si scorge la sottile linea bianca di Campomarino, appena visibile nel tremolare dell'Adriatico. Poi, improvviso, il passo dei soldati per via Mazzini a Campobasso e ancora dopo lo sferragliare dei blindati e delle divisioni corazzate tedesche che per notti interminabili transitavano a pochi metri dal nostro letto di adolescenti. Quindi il cannoneggiamento, la morte del vescovo Secondo Bologna, la fuga della famiglia verso ricoveri meno insicuri fino a quel 13 ottobre '43 - giorno del tuo compleanno - quando la prima jeep dei canadesi della VIII Armata inchiodò le ruote sul lastricato di piazza S. Leonardo. Seguì l'incredulità per la desolazione delle distruzioni e l'incrudelirsi della fame, ma fummo testimoni della voglia di ricostruire e del desiderio di scoprire tante voci diverse ma che risuonavano in un modo sconosciuto quali strumenti di quella cassarmonica che è la democrazia. Ci siamo tenuti per mano anche quando siamo stati diversi; tu idolo della borghesia molisana, io promotore di iniziative tra gli studenti di Campobasso. Quindi l'università, la scoperta di Roma, la necessità di seguire percorsi di vita diversi pur senza perdersi di vista. Hai avuto per me un'attenzione che definirei "paterna", un'attenzione che non conosceva asprezze né punte polemiche, bensì suggerimenti, spunti critici, stimolo all'approfondimento storico, politico e di impegno civile. Da parte mia ti ho seguito nel progressivo tuo convergere dal liberalismo elitario al liberalismo democratico arricchito dalla radicale difesa dei diritti civili. Io ho fatto il percorso inverso spostandomi dall'acredine colta dell'azionismo ad un più meditato "liberalismo sociale" dove l'ircocervo crociano sfuma nella socialdemocrazia liberale. Da adulti ci siamo ritrovati nel solco culturale e politico nel quale ora mi trovo solo. Caro Federico, non potevo non dirti questo e scrivendo a te ho parlato anche di me. Non lo avrei fatto per il pudore che mi ha sempre soffocato e che tu giustificavi conoscendo la mia fragilità. Anche di questo ti ringrazio. Ma, soprattutto, ti ringrazio di essermi stato fratello.
Annibale Orlando
Fonte: A. Orlando, Il vuoto che mi hai lasciato, in G. Tabasso, Omaggio a Federico Orlando, Il Bene Comune, Campobasso 2014.