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Zia Pierina


Le anziane della Terra Vecchia nel dipinto di Giulia Paglione.

Per quanto mi sforzi di ricordare zia Pierina o - come la chiamavo io - zia Pina, mi sembra che abbia fatto parte della nostra famiglia da sempre. Con mamma sempre in farmacia e papà in studio o in giro per visite, aiutava nonna a mandare avanti la casa e piano piano era diventata la mia tata con la sua presenza esile e silenziosa. Più che tata, una zia acquisita.

Curioso il suo modo di osservare meglio i piccoli oggetti accostandoli di lato agli occhi e, se un oggetto si rompeva il suo commento:

Nen ze putéva murì de pulmunìte... sdrammatizzava il tutto, la vita è fatta di cose più importanti.

Ancora oggi mi ripeto questa espressione in caso di perdita di beni materiali. Apprendevo così anche il dialetto e il primo termine che mi rimase impresso fu papattuócchie: piccolo pupazzetto antropomorfo.

Nei giorni caldi della bella stagione la accompagnavo per i campi e a cogliere la cicoria: silenziosamente mi insegnava il rispetto per la terra, madre e nutrice, che lei più volte aveva dissodato e nella quale contribuiva ad impiantare le mie radici.

Pochi i ricordi precisi, più un lento fluire nel tempo, come fermarsi e guardare lo scorrere di un ruscello cullato ed abbracciato dal caldo sole d'estate. Ecco allora un pomeriggio alla Terra Vecchia dove lei, seduta accanto a zia Elena, sua sorella, insieme ad altre donne, come in un rito quotidiano a godere del tepore del sole al tramonto, proteggendosi gli occhi con le mani vissute ma sempre dalla stretta dolce ed affettuosa. Scena ben rappresentata da Giulia Paglione in un acquerello che fece in dono alla mia famiglia.

Il trasferimento a Tivoli fu il primo distacco da me vissuto verso una persona cara, ma ogni ritorno era una felice occasione per andarla a trovare e poi, adulto, per portarle in visita anche i miei figli.

Ancora oggi, passando davanti a quel portone, mi sembra di percepire la sua presenza in cima alla ripida e stretta scala di legno e, per qualche istante, aspetto di sentire la sua voce che mi invita a salire.


Francesco Di Nardo

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